Spingersi al limite è sinonimo di coraggio o imprudenza?
Apro questo nuovo articolo con una domanda provocatoria che racchiude variabili e ipotesi e che, per certi aspetti, resta sempre aperta, quasi che non esista una risposta adattabile, definitiva. Il coraggio è l’atto con cui riconosciamo un nostro limite, una nostra paura; l’imprudenza è la condizione secondo cui l’uomo si assume rischi senza tener conto delle probabili e possibili conseguenze. Due condizioni che, anche senza volerlo, fanno parte della nostra vita, con le quali dobbiamo convivere, a volte trattare.
Durante la lettura di “Nickname: fil_vanz_88 – Le indagini di Fil Vanz” di Elena Andreotti, ho pensato più volte a questa domanda e, ammetto, non sono riuscita a prendere una posizione, a riguardo. Difficile, davvero, perché Filippo Maria Vanzitelli è un uomo affascinante, ricco, intelligente oltre misura, ha un cuore dolce ed è un buongustaio. E, soprattutto, è sicuro di sé: ha un atteggiamento determinato, solido, il suo sangue è gelido, non soltanto freddo. Il suo esserci – semplicemente – è una conferma perché lui è una guida indispensabile. È un personaggio che sprigiona determinazione, coraggio, e che ha il potere di sfidare il pericolo quasi senza fatica, come se fosse la cosa più naturale al mondo. Il suo è un mondo al limite, sempre, nel quale la sfida regna sovrana.
Fil Vanz non è uno sconosciuto, in questo blog. La sua prima indagine, infatti, fu ospite a febbraio, qui il link per rileggerla https://wordpress.com/post/bood.food.blog/332, ed è la prima che troverete, in questa raccolta di recente pubblicazione. Una rilettura gradevole come un gustoso antipasto, per me.
Le due nuove, seguenti, avventure hanno lo stesso aroma: quello pungente del delitto, ovviamente.
Nella seconda, Filippo è alle prese con una macabra scoperta nel muro di casa (o del castello, dovrei dire, visto che abita in una dimora fiabesca con annesso campo da golf e piscina). L’indagine si fa intricata, subito e senza attese come siamo abituati, e lui sguazza nel mistero, dipinge quadri, entra in rete (nel dark web che lo ha reso dipendente) e si delizia di antipasti, una carbonara “a modo suo” oltre che colazioni fuori casa in dolce compagnia. Il colpevole è nelle sue mani, anche se egli ancora non lo sa.
Nel terzo episodio, Elena Andreotti fa “il botto”, come si usa dire in gergo, e l’indagine diventa per due. Infatti, al “Castello” arriva lei, Debora Nardi, (per chi non la ricordasse, ecco il link dove, tra l’altro, fu proprio l’autrice a raccontarsi https://wordpress.com/post/bood.food.blog/350 ). Debora è la scrittrice– criminologa di Monte Alto che porta con sé, qualunque sia la sua direzione, una scia di delitti e misteri. E infatti, i due (con la presenza costante di Lidia e Francesca, sempre al “Castello” che è il teatro ideale) si spingono dentro a un’indagine ad alto tasso investigativo e culinario. I due (con Lidia, qualche volta) non si fanno mancare pause al ristorante, bicchieri di tè freddo e colazioni abbondanti per iniziare meglio ad analizzare fatti e congetture. La cultura culinaria laziale è, inoltre, una gradevole presenza costante che arricchisce la narrazione e non delude mai.
Lo stile narrativo è quello che conosciamo, a cui l’autrice ci ha abituato: dialoghi rapidi, testi scorrevoli, ambientazioni che diventano sfondi, tanto buon cibo. Anche nella costruzione della trama riesco a trovare le peculiarità di Elena Andreotti: ben articolata, non confusionaria, sempre lineare e logica.
L’ultima nota va a loro, ancora. Filippo e Debora si confermano due personaggi amabili: la loro abilità e la loro sostanza sono sempre una gradevole certezza.
Si ringrazia l’autrice per il file lettura in omaggio
Nota biografica dell’autrice: http://www.amazon.it/Elena-Andreotti/e/B07PMRP5LY
Grazie di nuovo!
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L’ha ripubblicato su Elena Andreotti – scrittricee ha commentato:
Grazie per questa accurata recensione
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