“… E ora scrivo un libro: una sfida enorme, un salto nel vuoto. Un percorso interiore sicuramente divertente e allo stesso tempo doloroso. Non ho grandi aspettative: il peggio che mi possa capitare è capire qualcosa in più su me stesso. …”
Ci sono sorprese che ti restano addosso molto più di altre. Sono quelle che davvero non ti aspetti, che hanno il potere di interagire con le tue emozioni molto più di altre; che, spesso, ti mostrano scenari che non ti saresti mai aspettato e che, soprattutto, ti trascinano e ti fanno riemergere.
“Come acqua” di Roberto Chilosi, AltreVoci Edizioni, è stato tutto questo e anche di più.
Andiamo con ordine, come al solito questa è la parte più difficile perché le emozioni sono tante, si affollano, e io devo fare un po’ d’ordine.
Roberto Chilosi è uno sportivo: canoista, nuotatore, guida rafting, maestro di canoa. Le sue imprese sportive lo hanno portato in giro per il mondo ad affrontare avventure che, credetemi, se siete i classici lettori da divano, vi faranno strabuzzare gli occhi.
“Come acqua”, infatti, è una sorta di diario nel quale l’autore racconta luoghi, sforzi, impegno, follia, coraggio, allenamento, pratica e tecnica. Non solo, e qui viene il bello… Questa opera è una raccolta di spirito, umanità, rispetto, solitudine, mistero, sacrificio, accettazione e… fame. Una narrazione d’emozione e sentimento, di coraggio e speranza, che si tinge del bisogno primordiale dell’uomo: il cibo. Non mi credete? Confesso che non lo avrei creduto nemmeno io. “Come acqua” è stata una sorpresa, sin dall’inizio.
La prima avventura inizia nel giorno della vigilia di Natale, in un ristorante toscano. Nel bel mezzo della solennità del servizio, come solitamente si conviene alla giornata in questione, l’autore organizza la sua spedizione: la discesa in solitaria di uno dei torrenti più impegnativi della Lunigiana. Quando atterriamo in Cile, ci sembra di sentire il profumo della carne che cuoce sulla griglia, della frutta esotica che profuma l’aria e dei biscotti “simili ai Ringo”. All’Elba l’adrenalina e la fame si saziano con calzoni, Coca Cola, e cioccolato bianco; in Tibet cavoli e uova vanno per la maggiore. E poi ci sono i piatti “on the road” (pasta, riso liofilizzato), le barrette energetiche che salvano sempre e molto altro ancora.
Lo stile narrativo è uno dei miei preferiti: autenticità e capacità di tradurre pensieri formano una comunicazione diretta e coinvolgente. Lo sfondo naturale, raccontato attraverso uno sguardo rispettoso, e il racconto delle imprese sportive, realizzato con un taglio moderno e sintetico al punto giusto, conferiscono ulteriore interesse all’opera.
Soprese, dicevo in principio… e siccome io adoro sorprendervi, ho pensato di ospitare l’autore, qui e ora, per il ciclo #boodinterviste.
Godetevi la lettura.
Buongiorno Roberto e grazie per aver accettato questo invito.
Grazie a te per l’opportunità che mi hai dato di poter rispondere a queste domande, per aver letto attentamente il libro e averne colto lo spirito.
Grazie anche a chi leggerà questa intervista e leggerà il libro.
Inizio con una citazione che ho amato molto. Scrivi “Niente è impossibile. Per nessuno”. Un bel messaggio, in tempi come questi, da mental coach. Siamo noi a costruire il nostro destino?
Sempre e nella maggior parte. Io sono un determinista, spesso, sicuramente sbagliando, ritengo che ogni cosa che mi accade è perché io ho fatto in modo che accadesse.
Non credo molto nella fortuna, anche se a volte penso che mi abbia aiutato.
Sicuramente nelle cose che ho fatto ci ho messo del mio, dall’organizzazione di un viaggio, prima ancora dalla scelta di fare quel viaggio, alla preparazione fisica e mentale necessaria per quello che sarei andato a fare.
Da piccolo vedevo gli sportivi più famosi non come mete irraggiungibili, ma come persone che si erano impegnate a fondo in qualcosa a cui tenevano e ci erano riuscite.
Ho sempre pensato che ogni risultato che avrei ottenuto sarebbe dipeso da me.
Mi ha incuriosito molto il tuo rapporto con la scrittura e la lettura: sei uno sportivo che legge, una rarità, quasi. Ci sono letture/scrittori ai quali ti affidi prima delle tue spedizioni?
Secondo me non sono pochi gli sportivi che leggono, almeno negli sport che pratico io, per me farlo è un piacere e una necessità.
Prima di un viaggio cerco di reperire più informazioni possibili relativamente al luogo in cui andrò. Leggo resoconti sportivi, usi, costumi, storia, geografia della mia destinazione. Cerco di entrare più possibile nella vita di quel posto per viverlo e comprenderlo meglio. Non ho mai partecipato a viaggi organizzati e preferisco sempre usare i mezzi che usano i locali per spostarmi, piuttosto che i più comodi mezzi turistici
Oltre alla lettura, ho percepito il bisogno di scrivere, annotare, tracciare, come se questo fosse una sorta di testimonianza da lasciare. Dove scrivi i tuoi appunti di viaggio? Usi tecnologia o carta e penna?
Scrivo molto in viaggio, esclusivamente su carta, sia per non dimenticare che per passare il tempo e rilassarmi magari al termine di una discesa molto impegnativa. Le emozioni a caldo tendi a perderle col passare dei giorni. Magari le rielabora, ma scriverle ti aiuta a fare chiarezza anche dentro di te e razionalizzare i passi successivi. Scrivere poi era anche una necessità dovuta al fatto che fino all’avvento degli ebook i libri cartacei erano ingombranti e dover passare in fiume più giorni, e doversene portare dietro anche due o tre, avrebbe tolto spazio al cibo.
Hai raccontato il rapporto col cibo con rispetto e dignità. Ci hai messo davanti a un fatto che, molto spesso, dimentichiamo: il cibo non è scontato. E che la fame, quella vera, quando la senti, vince su tutti gli altri fattori. Vorrei che ci raccontassi qual è stata l’esperienza culinaria più estrema che hai vissuto, nei tuoi viaggi.
Mi sono sempre adeguato ai cibi locali, spesso, soprattutto nei primi viaggi, prendendo sonore infezioni intestinali.
In viaggio mi adatto a tutto, mangio qualsiasi cosa a casa invece sono più attento.
A livello di “stranezze“ non mi ha entusiasmato il coccodrillo in Africa o il latte fermentato di cavalla in Mongolia, ma quando ho veramente fame non sento i sapori e mando giù di tutto.
La fame, quella vera che ho patito in alcuni viaggi, e che mi teneva sveglio la notte, mi ha reso molto poco schizzinoso in questo senso.
Ho visto gente lavorare 12 ore in condizioni terribili per un pugno di riso, mentre noi ci stressiamo se non possiamo fare la colazione al bar o mangiare al ristorante. È una questione di rispetto.
Hai scritto la fatica. Ne hai tracciato forma e dettagli con estrema precisione. Per tutta la durata della lettura ho percepito rispetto anche per questo aspetto e, a volte, la sensazione che spingere oltre i limiti fosse una fuga dalle domande (e dalle situazioni). Possiamo affermate che lo sport (estremo o no) è una terapia, uno spazio nel quale possiamo ascoltare noi stessi, accettarci e perdonarci?
Si. È un banco di prova almeno lo è per me, è il mio miglior antidepressivo, la mia migliore medicina.
In acqua in particolare mi sento protetto, sempre a mio agio, nonostante a volte la paura.
Ma quando do tutto me stesso sono comunque soddisfatto e non mi preoccupo troppo se fallisco: fa parte del gioco.
Il gioco negli sport che pratico a volte è la mia stessa vita e questo mi stimola a migliorarmi sempre, almeno a provarci.
In un periodo storico come questo, l’essenziale è stato d’obbligo. Siamo tornati a vivere con semplicità e con maggiore consapevolezza, anche i rapporti con la famiglia. Nella tua opera, i riferimenti all’essenzialità sono sparsi un po’ ovunque. In attesa che i lettori leggano “Come acqua” vorresti raccontare loro cos’è, per te, l’essenziale?
L’essenziale è la salute, il cibo, il vivere la propria vita indipendentemente dagli altri ma rispettandoli.
Siamo abituati a stressarci, io stesso quando sono a casa lo faccio per cose che ritengo indispensabili ma non lo sono, come una connessione ad internet o un vestito nuovo, ma basta fermarsi un attimo per rendersi conto che sono solo illusioni. Infatti i viaggi che faccio spesso mi aiutano a ridimensionare il mio punto di vista.
Luogo che consiglieresti di visitare, zaino in spalla e occhi curiosi?
La Patagonia cilena senza alcun dubbio.
Infine. Come avrete letto nel titolo, questo è un progetto #boodperglialtri. Io ho deciso di non svelare a quale associazione hai devoluto parte del ricavato delle vendite del tuo libro. Credo, infatti, che sia una sorpresa nella sorpresa da scoprire e da tenere stretta al cuore. Se tu sei d’accordo, lascerei ai lettori la possibilità di arrivarci, così come ci sono arrivata io, dopo il percorso che è stata questa lettura.
Sì, va bene.
Grazie all’editore per questo gentile omaggio e grazie all’autore per aver partecipato alle #boodinterviste.
Nota biografica dell’autore:
Roberto Chilosi È nato a Chiavari nel 1966, vive e lavora tra Borgo Val di Taro e Parma. Nel 1995 si licenzia da un impiego pubblico per inseguire il proprio ideale liquido: diventa guida rafting, maestro di canoa, viaggiatore e sportivo. Lettore “totale” e compulsivo, scrittore, ha effettuato discese in canoa nei fiumi più belli e impegnativi nei cinque continenti, compiendo alcune prime discese in solitaria, come il Marsyangdi o la parte alta del Tamur in Nepal.
Ha trasferito lo stesso spirito nel nuoto, compiendo numerose traversate soprattutto in inverno, in mare in giro per il mondo e spesso in solitaria, la dimensione prediletta. Ovunque vada, se c’è un fiume o un mare, ci deve entrare dentro. Kilo, the ultimate Water Warrior.
Come acqua, racconto di vita, viaggio, imprese sportive, è il suo primo romanzo.
Sito internet dell’editore:www.altrevociedizioni.it.