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“Il silenzio addosso” di Stefania Convalle, Edizioni Convalle.

Addòsso  (avverbio). Sulle spalle, sulla persona, avere qualcosa su di sé, anche di cose astratte” (significato tratto da Treccani, vocabolario on line lingua italiana).

Usiamo spesso, questo avverbio, soprattutto nelle frasi colloquiali: “quel bambino ha l’argento vivo addosso”, “mi sento la paura addosso”, “i ragazzi stavano l’uno addosso agli altri” (questo lo evitiamo mi raccomando eh…).

Ci avete mai pensato? Abbiamo inserito un significato stretto e chiuso, poco poetico ed ermetico, nei messaggi che lanciamo ogni giorno. Personalmente, non ho un buon rapporto con questa “parola”. Ogni volta che ci penso riesco solo a evocare sinonimi di costrizioni e pesi che vorrei lasciare andare e dimenticare. Tutto ciò che mi sta addosso mi è entrato dentro e non è sempre piacevole, mettiamola così.

La reazione che ho avuto davanti al titolo del romanzo scritto da Stefania Convalle “Il silenzio addosso”, edito dall’omonima casa editrice, è stato uno shock.

Lo sguardo già caduto sull’avverbio in corsivo tremava, e poi quell’articolo… “IL” a significare che non era un silenzio qualsiasi… no, era proprio quello lì, l’innominabile, il più feroce e innaturale del mondo.

L’altalena inizia con due voci femminili: Chiara e Giulia. Due donne diverse, in ogni spicchio di vita. Chiara è il suo dramma. Una vicenda inenarrabile, sbagliata, crudele e feroce. Il suo silenzio è la grotta, lo scudo che la protegge da quel male che prosciuga anche l’ultima lacrima. Giulia è tenace, solida. E’ la forza di carattere di una donna sola che costruisce se stessa e i suoi successi; che supera limiti e ostacoli, che tiene legate figure, ricordi, futuro e passato. Una donna che ha perso una parte si sé per un bene più significativo e duraturo: il lavoro.

Chiara e Giulia sono in un vortice di silenzio, ed è proprio questa assenza a unirle, come una calamita.

Stefania Convalle ambienta il suo libro in una Milano moderna, dove il senso di libertà e rinascita fanno da padrone. Una città protagonista essenziale in questo lungo viaggio che attende le due protagoniste. Una Milano che, speriamo, torni a essere tale, dopo la bufera che le sta precipitando “addosso”.

Non è un caso neanche il fatto che gran parte dell’ambientazione narrativa si svolga all’interno di un ristorante (oggi luogo di ampio dibattito, purtroppo). Il cibo è rinascita, attaccamento alla vita, resilienza. È bisogno di ricominciare, è quel brivido che ti ricorda che sei viva. Nonostante tutto.

Giulia si racconta attraverso i suoi piatti e il loro dolce silenzio: la maionese da montare a perfezione e le patate da sbucciare sono state il suo passatempo di bambina, sotto lo sguardo vigile e premuroso di un padre; la cena che organizza per Chiara, perché le difese, qualsiasi esse siano, crollano davanti a una carne cotta a “puntino” e a un profumato bicchiere di vino; quando la storia di Chiara apre uno scrigno di ricordi e lei ricorda il suo scrigno, quello di Venere, e il suo ripieno di meraviglie.

Il silenzio di Chiara inizia a spegnersi quando l’invito diventa intimidazione e il rosso del pomodoro sugli spaghetti dissolve qualche ombra; quando il binomio caffè e cioccolato scioglie l’amaro in bocca e le apre gli occhi; quando un sandwich scenografico fa nascere un’idea incontenibile.

L’”attimo trama”, come mi piace definire il momento culinario di maggiore spessore, è sottoforma di risotto allo zafferano. E non è un caso. Il colore solare tipico di questa spezia ha un potere onnisciente: riempie e regala note di buonumore e speranza irresistibili (provare per credere).  Il riso, poi, è il piatto della tradizione milanese, esportato in tutto il mondo. Il risotto alla milanese, in questo romanzo, è la speranza, il dono, il viaggio che inizia… la vita che ricomincia.

Le voci femminili sanno quando è il momento di farsi da parte. E lo fanno con grazie ed eleganza. Lasciano lo spazio ai “loro” uomini. A coloro che sono causa o effetto dei loro dolori. Ne esce così uno spaccato completo, un coro che inneggia al pentimento, alle domande eterne, alla solitudine bagnata col whisky.

Stefania Convalle affronta il dolore di petto, ti travolge con forza e ti spinge dentro a un conflitto che ti fa bruciare. La sua è una scrittura intima, personale, dove i sentimenti conducono la narrazione e dove ti rendi conto che le difese umane sono flebili in confronto alla portata delle ingiustizie. In questo, tuttavia, con grande maestria, l’autrice affianca la magia del destino. L’affidarsi a un vento che non hai mai sentito, un vento che ti porta in un luogo sconosciuto e che ti tiene per mano, presentandoti il premio finale, un risarcimento che non avresti voluto ma che ti strappa un sorriso, il primo vero sorriso. “Il silenzio addosso” narra un messaggio chiaro e coraggioso di resilienza e solidarietà, perdono e sacrificio. E’ un messaggio che, in un momento storico come questo, vorresti addosso per un po’. Per un bel po’. 

Si ringraziano l’editore e l’autrice per l’invio diretto del manoscritto.

Nota biografica dell’autrice:

Stefania Convalle ha al suo attivo numerose pubblicazioni: romanzi, poesie, opere sperimentali a più mani e un manuale di scrittura. Tra i riconoscimenti più importanti, il Premio Giovani “Microeditoria di qualità”: nel 2017 con il romanzo “Dipende da dove vuoi andare” e nel 2018 con “Il silenzio addosso”; entrambe le opere sono state presentate nel programma “Milleeunlibro” di Rai Uno. Scrittrice, organizzatrice di eventi culturali, ha fondato il Premio Letterario “Dentro l’amore”. Writer Coach, Talent Scout, Stefania Convalle è anche editrice dal 2017, anno di fondazione della Edizioni Convalle, “una casa editrice col cuore d’autore”, come ama definirla.

Link di acquisto del libro:

https://www.edizioniconvalle.com/il-silenzio-addosso-978-88-85434-17-2-c2x25843387

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