Momento fortunato, cari lettori, nonostante tutto.
Epoca propizia e privilegiata, cari amici, malgrado le avversità.
Non sono impazzita né ho perso la ragione all’improvviso, credetemi. La verità è che, in questo articolo, vorrei che giungesse a voi la scia di ottimismo che mi ha investito, durante la lettura di “Ti regalo le stelle” di Jojo Moyes, edito da Mondadori e tradotto da Maria Carla Dallavalle.
Oggi la nostra esperienza di lettori è voglia di conoscenza e gusto, piacere e ampliamento dei nostri orizzonti. La nostra vita di lettori è sinonimo di passione e ricercatezza, oltre che un’occupazione lavorativa redditizia per qualcuno. Abbiamo molte possibilità, siamo in grado di scegliere, senza limiti. Oggi siamo liberi di decidere metodi e generi, tempi e modi. Siamo lettori autosufficienti e la lettura, se davvero è tale, è una delle poche sfere in cui l’uomo ha raggiunto la propria indipendenza.
Nel secolo scorso, invece, la possibilità di affondare il naso tra le pagine profumate di sapere era spesso un privilegio per pochi. Non solo. I generi ammessi – quelli che resistevano alle oppressioni e ai divieti – erano così pochi che si potevano contare sul palmo di una mano. Famiglie intere erano private dalla libertà di leggere e l’immaginario comune descriveva i libri come una notevole perdita di tempo e, qualche volta, della ragione.
L’inconfondibile capacità descrittiva di Jojo Moyes, ricca di fotografie, suggestioni e dialoghi affascinati, ci accompagnano in una trama forte e delicata al tempo stesso, romantica ma non sdolcinata, ispirata a una storia vera, coraggiosa e audace: cinque eroine diverse tra loro come il giorno e la notte che, sfidando un mondo ostile, maschile e corrotto, bigotto e chiuso attorno a una religione opprimente, si sono messe in testa di cavalcare le più remote aree montuose del Kentucky “solo” per diffondere la magia dei libri.
Sono cinque: semplici ma complesse, amiche ribelli e spesso indomabili, forti come un fiume in piena, costanti e determinate.
Sono DONNE e la Moyes scava nelle loro personalità fino a far emergere le loro anime, le sfaccettature del loro io più nascosto, le paure e le tensioni, ma soprattutto il desiderio di libertà che è così dirompente da essere il vero legame che riempie le loro esistenze.
C’è Margery, la leader, lei che durante la sosta, nei viaggi lungo il freddo pungente, si preoccupa di rassicurare Charley (il suo più che fedele mulo) e gli promette una scodella di melassa calda per cena; quel suo modo di mantenere la calma e spuntare i fagiolini per evitare l’ennesima proposta di matrimonio di Sven; il suo caffè, sempre più nero e concentrato, dal sapore deciso e totalizzante; la zuppa calda che Sven le serve nel vano tentativo di rassicurarla, dopo quell’ingiustizia che ha subito e che cambierà per sempre il corso delle cose; quel piatto doppio di verdure e patate che il suocero di Alice non mangerà perché lei ha capito la malignità dei suoi traffici e il danno che ha inflitto alla comunità.
C’e l’illusione di Alice, quella tipica di una giovane sposa, che inizia a sgretolarsi troppo presto, davanti a un pasticcio di carne e patate non riuscito; la sua tiepida ribellione quando, davanti al suocero la cui presenza incombe nel suo matrimonio, ammette di non aver mai amato le braciole di maiale; la consueta sensazione di non appartenere al luogo in cui vive, quando cerca di adattarsi alla cucina del Sud, il cui podio è formato da pomodori verdi fritti, cavolo nero e dolcetti di mela, gli stessi che cerca di replicare, sbagliando dosi e tempi di cottura; il suo disgusto più per le parole taciute del marito che per la mancanza di buone maniere quando a tavola c’è del profumato pane di mais; il suo vano tentativo di coinvolgere il marito in un têtê-à- têtê a base di torta di melassa e prosciutto; un piatto di fagioli neri che attirano l’attenzione di suo marito, la stessa che dovrebbe riservare a lei, quando il suo ruolo di bibliotecaria viene definito un ostacolo alla procreazione e alla buona gestione di una famiglia. C’è il gelo che l’attanaglia, molto diverso da quello che le intorpidisce la mani, in montagna, quando assiste alla macellazione del maiale; la colazione a base di pane e uova che si prepara nel silenzio di una casa che l’ha accolta e che sta, lentamente, curando le ferite che la libertà le ha causato. E poi c’è l’attenzione che le riserva Fred quando, per addolcire il suo caffè porta della panna in biblioteca, delle mele succose per rendere più gustoso il lavoro e una zuppa di pomodoro per rendere meno dolorosa una violenza ingiusta e inaccettabile e quando, finalmente, forte dell’audacia che solo i sentimenti veri possiedono, organizza una cena a base di stufato di maiale.
C’è Sophia che dietro al colore della pelle nasconde un animo amorevole, sapere e pazienza, capacità organizzative straordinarie e che serve a Margery un bicchiere di salsapariglia insieme a confidenze pericolose e rischiose;
C’è sempre il profumo delle mele appena colte, quello dolce e rassicurante, quando la timida Isabelle “Izzy” si lascia convincere che la sua disabilità non ostacolerà la sua cavalcata tra i sentieri di montagna e che, in fondo, non aspetta altra occasione per trovare il suo posto nel mondo.
C’è Beth e il suo essere sopra le righe, quei suoi modi duri di ragazza cresciuta da sola in perfetta simbiosi con la durezza della campagna, e il suo liquore alle mele, forte e deciso, che offre ad Alice e che, le promette, non le farà male.
C’è Kathleen, una giovane coraggiosa che ringrazia Alice donandole la ricetta di famiglia della torta di mele e miele per la compagnia e soprattutto per aver alleviato le sofferenze fisiche del marito, con la lettura, solo per qualche ora; ci sono donne che stringono mani e occhi tra le righe di libri di cucina, amore e matrimonio, e ci sono bambine che grazie alla lettura imparano indipendenza e ricette di torte a base di pesche.
E poi ci sono le pause pranzo a base di semplici sandwich che introducono storie di uomini e donne che vivono di terra e cielo, di sacrifici e sogni, le stesse che gettano le basi per un’amicizia controversa ma autentica per la quale è un dovere lottare.
“Ti regalo le stelle” è un inno all’amicizia, al coraggio delle donne, al desiderio di felicità. È un simbolo di lotta e uguaglianza, di possibilità e rinuncia, un affresco che riproduce la Storia e che invita, come sempre a una scia di profonde riflessioni.
E, senza dubbio, è un romanzo “di ritorno” perché ci insegna che chi lotta per il Bene, alla fine, tornerà vincitore.
Viene voglia di leggerlo! Appena finisco i due in contemporanea lettura (la mia bulimia romanzesca non ha limiti) lo prendo.
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