La luna alta nel cielo lascia cadere i suoi raggi nel fiume che, con aria lenta ma solenne, bagna le sponde della città. Il vento, intanto, fa vibrare l’aria: è un vento tipico del Nord, teso, freddo. Le strade sono tante, infinite, di rara bellezza; alcune si attorcigliano lungo vicoli lastricati, altre si arrampicano fino a raggiungere chiese austere che ricordano epoche ricche oppure si allungano in viali alberati, accanto a hotel le cui finestre sono illuminate da luci sfavillanti ed eccitanti. I profumi della città sono dolci, sublimi, antichi e ricercati. I cittadini sono fieri, eleganti, sicuri di appartenere a uno dei luoghi più osannati d’Europa. I colori delle stoffe più pregiate al mondo riempiono atelier e showroom.
Sì, amici, siamo a Parigi, nella Francia più francese, quella che vive di armonia e suggestioni, di romantiche evasioni e di sogni eterni. La città che è Bellezza e Cultura e che ricorda intramontabili storie romantiche che hanno riempito scaffali casalinghi e librerie di ogni marchio.
Vi prego, cari lettori, prima di iniziare il lungo viaggio tra le pagine di “Tre Baci” dimenticate l’immagine di dolci dichiarazioni d’amore sul far della sera, nei pressi della Senna o in un romantico ristorante di Montmartre, davanti a un foie gras o a un piatto di ostriche: le quasi settecentocinquanta pagine che vi aspettano escludono quasi totalmente tenerezze e poesia.
Katherine Pancol, in questa fortunata opera narrativa, edita da Giunti e tradotta da Bérénice Capatti, riprende molti dei personaggi dei suoi precedenti romanzi e li riadatta a una nuova, intricata, trama.
Siamo nella periferia parigina e, spesso, i personaggi si spostano in città. Tra loro ci sono equilibri precari, una serie di vicende apparentemente lontane e in fondo unite, affari e sentimenti, tradimenti e ritorni, e tanto (tantissimo) animo. Un’interiorità da comprendere, appoggiare, fuggire e condannare. Ci sono raggi di sole: amore e amicizia, strettamente legati tra loro, sentimenti puri che lottano con coraggio per sopravvivere alla follia umana. C’è violenza, in “Tre Baci”, psicologica e fisica, nuova e vecchia.
La scelta di ambientare le vicende di Stella, Adrian, Tom, Dakota, Hortense, Zoé, Camille, Junior, Jêrome, Julie, del fantasma di Ray e di tutti gli altri non è forse un caso: l’alone di raffinatezza che nell’immaginario collettivo si attribuisce alla Ville Lumière si scontra con violenza a tratti cruda, indomabile e inaccettabile, che si trova tra le pagine. Un modo come un altro per farci riflettere su quanta importanza (o meno) abbia il luogo in cui l’uomo conduce se stesso e la propria esistenza, e quanto lui sia disposto a sacrificare, pur di averne in quantità, accanto a sé.
La Pancol costruisce, unisce, taglia, annienta vicende e personaggi e, in questo, la sua grande capacità narrativa è unica: ognuno ha il suo spazio, ogni elemento trova la sua giusta connotazione. Non si trovano affollamenti, né spazi temporali che confondono. Tutto ha un seguito. Semplicemente.
E, in questo entusiasmante groviglio di anime, la cucina (anche la francese) si eleva in tutta la sua perfezione, accentuando e distruggendo personalità e vicende.
C’è Stella che gusta piatti, lavora di forza fisica e coraggio, mentre si lamenta delle quantità e si concede una lunga cena con la sua famiglia a base di pane, vino, formaggio e insalate, gelato e cookies che suo figlio Tom aggiunge sul finale o alla festa di fidanzamento di Julie, la sua migliore amica, a base di rilettes, quiche alle zucchine e tramezzini al salmone; che si preoccupa per la fame di Adrian, suo compagno, quando affetta il pane e vede la forza che lui mette in quel gesto apparentemente semplice.
C’è Julie che teme una zolletta di zucchero, la stessa che, se solo avesse il coraggio di lasciar cadere nel caffè, le restituirebbe un po’ della dolcezza che, lentamente, sta perdendo.
C’è Tom la cui adolescenza dovrebbe essere fresca e invece è in perenne lotta contro fantasmi che non se ne vogliono andare. Tom che non vuole più andare alla mensa scolastica perché il merluzzo scongelato – freddo, gommoso- non può competere con la cucina di casa, con l’arrosto caldo e succoso, l’insalata di barbabietole, il patê e la mela condita che la dolce e sempre presente Suzon prepara per tutti.
C’è Adrain la cui voglia di riscatto è così forte da accecarlo e da obbligarlo a una compagnia di dubbio gusto che può sopportare solo davanti a un timballo di molluschi, una sogliola grigliata e un vino pregiato.
C’è Hortense che per un attimo dimentica l’ambizione di diventare la numero uno al mondo e divora un dolcissimo pollo al limone in salamoia, in compagnia di un enigmatico bambino e s’innamora di nuovo del suo Gary, quando lui le fa recapitare, direttamente dall’America, il vino che ha sancito il loro amore.
C’è Elena che gusta croissants (i migliori di Parigi, direttamente al Ritz) e vendetta; Gary che capisce il significato di sacrificarsi per amore davanti a un waffel e un’amicizia che nasce tra macarons al cioccolato e al caffè.
Mi fermo, non perché sia finita. Ci sarebbero ancora moltissimi spunti, riflessioni, conferme ma, per natura, non sono attratta dalle recensioni troppo lunghe e credo che queste mie parole possano considerarsi più che sufficienti a spiegare i motivi che mi hanno convinto, circa “Tre Baci”.
Ciò che invece mi pone dubbi (molti) è la seguente domanda: la bellezza salverà l’uomo o sarà l’uomo a salvare (e divulgare) la bellezza?