… “ Insomma: per il nuovo Mancato l’uomo si serviva della musica allo scopo di uscire dal purgatorio dell’esistenza reale e proiettarsi nel paradiso di una condizione sublimata o precipitare nell’inferno di una condizione disperata, casi da considerare entrambi riprovevoli evasione del compito accollato agli uomini dal destino. E se questo avveniva per tutte le arti, era fenomeno assai più marcato nell’arte musicale…”
Vi è mai capitato di ripensare ai vostri professori del liceo? Vi ricordate ancora quella miscela di rispetto e soggezione, di determinazione e – talvolta – stima che avete provato? Riuscite a tornare alla memoria di voi all’ascolto, dei rumori di sottofondo che animavano l’aula, delle distrazioni e della (sana) voglia di evadere? Per il target anni ’80 (il mio) è un memories, per qualcuno più giovane è un’immagine recente e per i più fortunati è addirittura contemporaneo (tralasciamo le problematiche attuali e andiamo oltre…).
In ogni caso, qualsiasi età abbiate, avrete sicuramente un ricordo nitido di quel professore… sì, proprio quel professore che, per un motivo o l’altro, si è contraddistinto dagli altri. Perché ci sono alcune persone che hanno la capacità di entrarti dentro, di lasciare il famoso segno, quel taglio netto nella memoria che ha la capacità di resistere al carico di ricordi che la vita ci permette di accumulare.
Il professor Edoardo Mancato – protagonista di “Un uomo alla deriva” di Armando Rudi, Edizioni Convalle – è uno di questi.
Spiegarvi come quest’uomo – professore del Conservatorio – sia riuscito a trattenere la mia attenzione per tutte le cinquecentododici pagine (sì, proprio così, avete letto bene) sarà il mio obiettivo e spero di riuscirci, in questo contesto così breve e compresso.
Innanzitutto la scrittura di Armando Rudi – come definita anche da Stefania Convalle nella sua prefazione – è “d’altri tempi”: ricorda molto la letteratura del secolo scorso che abbiamo conosciuto al liceo (appunto…), quella piena, colta, che padroneggia la lingua italiana e che spinge la narrazione in una introspezione che non ha fretta di svelarsi. Una narrazione coinvolgente, ricca di riflessioni e flussi di coscienza, esposta da un narratore delicato, preciso, elegante. L’uso della lingua italiana (a proposito, quant’è bella la nostra lingua quando è usata al meglio?) è coinvolgente: l’autore si avvale di accenti, punteggiatura e tempi verbali con una precisione invidiabile. Una precisione che, da lettrice bulimica quale sono, non ho potuto che amare e ammirare.
Addentrandoci nella trama: lo stupore continua.
Le prime battute dell’opera ci conducono immediatamente all’evento-svolta e anche questa scelta incuriosisce: il professore, di ritorno dal lavoro, trova un misterioso libricino a terra. Lo raccoglie. Lo osserva. Pensa. Lo afferra e lo prende con sé. La sera, davanti al solito bicchiere di whisky invecchiato, il suo unico vizio, entra nella lettura. Le pagine si compongono di versi e di un’analisi personale e dettagliata di alcuni componimenti musicali. Mancato si lascia rapire e si convince che quelle pagine appartengano a uno dei suoi studenti. Entra nelle parole, le scopre, le sente sue, gli entrano dentro e deflagrano con violenza producendo uno scoppio che si traduce in un nuovo mondo. Da questo momento in poi, la vita del professore entra in un vortice di eventi, dubbi, emozioni, trepidazioni. Da questo momento in poi, Mancato non sarà più il perfetto esecutore della musica che ha accompagnato tutta la sua vita perché le note, gli “Adagio” e i “Calante” avranno un suono più cupo, più distante.
Per conoscere il professore il lettore si deve addentrare nelle molte riflessioni che compongono lo scritto e che è obbligato a rileggere, talvolta, tanta è la loro bellezza:
“…con il passare degli anni l’incapacità di scrittura si era sedimentata nell’uniforme incrostazione di limitatezze che aveva ricoperto la sua vita con lo strato di sabbia e ruggine incrosta gli oggetti caduti in mare e giacenti sul fondale…”
e
“… anche perché. Mi dicevo, cos’è questa mia esigenza di essere sempre e in tutto morale?…”
oppure
“… le conquiste e le vittorie arridono i primi. Ai secondi restano i sogni…”.
Il professore cade, inciampa nella vita, quella stessa vita che credeva piatta, senza curve. Si ritrova a fare i conti con il bene e il male tra il tè casalingo e una bottiglia di vino costosa, in una casa che sembra aver perduto il suo significato e una nuova eccitante e vibrante, in una costante idea del presente oscurata da qualcosa che non riesce a comprendere.
“Un uomo alla deriva” è un’opera intensa, corposa, ricca e prorompente, una culla per il lettore che desidera accomodarsi in una bella lettura.
Consiglio di lettura:
Questo romanzo è adatto a chi cerca una lettura d’intenditore, raffinata, che coinvolge lentamente; a chi cerca una lettura quotidiana, da tenere sul comodino o in un luogo speciale della libreria. Un libro adatto a chi ama la musica classica e agli inesperti: questo viaggio musicale potrebbe essere il giusto stimolo per iniziare un nuovo viaggio.
Si ringrazia l’editore per l’invio del romanzo.
Nota biografica dell’autore:
Armando Rudi è nato in un villaggio situato ai confini dell’antico contado del Seprio. L’autore ha compiuto studi umanistici troncati in dirittura d’arrivo per sopravvenuta diffidenza verso la cultura imperante; ha percorso la trafila di una professione in campo amministrativo fino a posizioni di responsabilità; è convolato a nozze rimaste, per volere del destino, senza figli; libero di conseguenza da problemi di prole, ha orientato le sue energie verso iniziative ecologiche, sociali e animaliste, mai rinunciando nel medesimo tempo a coltivare sia una costante fruizione di musica classica sia una costante produzione letteraria, quest’ultima dapprima nel campo della poesia, in seguito nel campo della prosa.
Link di acquisto del libro:
https://www.edizioniconvalle.com/un-uomo-alla-deriva-c2x26106796
Interessante!
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Molto… Un opera fine, colta ed elegante.
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