Oggi parliamo di nomi propri di persona, un argomento che non abbiamo mai trattato finora ma che, in letteratura, ha un peso notevole.
Vi propongo questi:
“Nina”: normalmente utilizzato come diminutivo di Giovanna o Anna, oppure come nome proprio, deriva dall’ebraico e significa “bella, dono”.
“Diego”: deriva dal greco e significa “colto, istruito”.
“Sara”: uno dei più biblici più famosi, significa “signora, principessa”.
“Giorgia”: deriva dal romano antico e il suo significato più puro è legato alla terra, a chi la coltiva.
“Claudia”: nel significato originale troviamo un rimando all’essere claudicante ma anche la forza e la determinazione a non arrendersi mai davanti alle sconfitte della vita.
I nomi che vi ho proposto (tutti belli, antichi, pieni di significato), sono stati scelti da Fortunata Barilaro Gattei nel suo romanzo “Là dove finisce il fiume” pubblicato da Edizioni Convalle. Una scelta decisa o fortunata, studiata o casuale, ma comunque appropriata che nasconde molti dettagli della trama.
La trama nel presente si snoda attorno a un fatto doloroso accaduto molti anni prima: la piccola Sara, che ama agghindarsi di gioielli come una principessa, si perde nel fiume. Si perde… o meglio, di lei si perde ogni traccia. Il suo piccolo corpo e la sua anima pura spariscono tra le onde burrascose del fiume in piena, in un paese remoto della Puglia. Nina, la bella e amorevole mamma di Sara, da allora entra in uno stato di pazzia: il fatto di averla persa è un contenitore di dolore e disperazione, una ruota impazzita che gira e trita ogni speranza di felicità. Diego è un giornalista colto che si occupa di finanza e che giunge in Puglia per scontare il peso del tradimento e della separazione dalla moglie e che, a causa di un incidente col destino, si trova a dover alloggiare nel B&B che gestiscono i genitori di Giorgia. Quest’ultima è una fanciulla che sta crescendo e che ha un sogno: restare nella sua terra e aprire una libreria cioccolateria.
Fortunata Barilaro Gattei ambienta il suo romanzo in un luogo che profuma di terra, antichi sapori, convivialità, accoglienza e silenzi; dove la tavola è – ancora- un luogo d’incontro, dove ci si può conoscere senza filtri; dove i territori – il fiume e il mulino, i sentieri bui – costituiscono un legame conflittuale ma indispensabile.
Nell’usare la tavola, l’autrice accentua la semplicità della vita del luogo, intervallata da parole e silenzi, da ombre e raggi di sole, da decisioni e accettazioni, da lacrime e nenie cantate per disperazione.
Diego si trova nella trattoria di Adriano per caso, il giorno dopo il suo arrivo, e il profumo intenso lo riporta a casa, quando era bambino e sua mamma preparava il pranzo della domenica; si lascia invitare da Giorgia, alla prima cena in casa offerta dall’host e, davanti alla frittata di patate e a un nocino, percepisce un’insolita sensazione di calore che non avrebbe mai pensato di trovare; si trova ad ammirare la bellezza di Nina, quella malinconia che le vela lo sguardo, davanti alla tazza di cioccolata calda che lei gli serve, nel loro primo incontro non previsto; osserva la cuccumella e resta affascinato da quell’antica usanza di servire il caffè, prima di vistare il mulino, uno dei luoghi più interessanti del territorio (e dell’opera). Diego inizia a conoscere i profumi, come mai prima. La malvarosa, in particolare, che è legato a Nina, o delle melanzane fritte durante il loro primo pranzo insieme; l’aroma del caffè forte che si spande nella cucina del B&B e che annuncia il nuovo giorno. Una scia di profumi che lo cattura ancor prima che lui se ne renda conto.
La scelta di narrare la storia attraverso la voce di Diego conferisce al romanzo un punto di vista prioritario ma non esclusivo: l’autrice attraverso passaggi, memorie, descrizioni e dialoghi riesce a far emergere ogni protagonista, ogni ombra caratteriale, ogni elemento distintivo. Diego è voce, occhi, passi, partenze e ritorni, dubbi (tanti), tensioni (tantissime), emozioni e amore e proprio in questa sua completezza riesce a narrare ogni istante con grazia e precisione tanto che il lettore non perde neanche un particolare della trama, dell’ambientazione, delle emozioni (fortissime, credetemi) e del finale che innalza il livello emotivo dell’opera.
Un’ultima nota. Mi capita spesso di innamorarmi dei personaggi che conosco grazie agli autori… sarà che sono tanti, ognuno con la propria storia, ognuno col proprio destino e non è quasi mai possibile indicare un preferito. Tuttavia, quando conoscerete Claudia non resterete indifferenti. Il suo romanesco, quel modo di raccontare la vita con leggerezza, quel suo modo di stare tra gli altri e la sua forza d’animo saranno elementi che vi conquisteranno, ne sono certa.
“Là dove finisce il fiume” è un romanzo pieno di vita: ci sono i dolori e le ingiustizie inenarrabili, i sacrifici, le lotte interiori, la solitudine ma anche le amicizie, le vicinanze, le strade da percorrere perché è lì che trovi i destini migliori, e l’amore che nonostante tutto trova la forza di esistere.
Si ringrazia l’editore, Stefania Convalle, per l’invio del romanzo.
Nota biografica dell’autrice:
Fortunata Barilaro nasce in un piccolo paese della Calabria. All’età di 19 anni si trasferisce a Roma, dove vivrà per circa trent’anni; attualmente vive in Salento dove coltiva la passione per la scrittura, mai realmente abbandonata. Lavora come infermiera e il tempo libero lo dedica alla cura dei suoi tanti animali. La sua casa e il suo giardino sono pieni di cani e gatti che trova per strada. Il suo primo romanzo, “La casa sulla scogliera”, è stato pubblicato nel 2018 con Edizioni Convalle. “Là dove finisce il fiume” è la sua seconda opera.
il libro è disponibile qui:
https://www.edizioniconvalle.com/la-dove-finisce-il-fiume-978-88-85434-42-4-c2x30614792