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“Rossovermiglio” di Benedetta Cibrario, Feltrinelli

La valigia dei ricordi potrebbe avere una cerniera robusta, resistente agli urti e protettiva. Potrebbe sembrare un compartimento stagno, all’interno del quale le emozioni e le immagini del nostro passato restano al sicuro, lontano dalle pieghe della vita, solo ed esclusivamente grazie al nostro impegno. Un impegno oneroso e gravoso, certamente.

La valigia dei ricordi può restare chiusa per anni, per sempre, a volte. Ci siamo convinti che la nostra volontà sia onnipotente e possa garantirci sicurezza e debita distanza da ciò che abbiamo voluto dimenticare.

Niente di più sbagliato, cari lettori.

I ricordi sono un bagaglio che ci teniamo addosso soprattutto quando non ce ne rendiamo conto; sono come una seconda pelle, come la nostra ombra. Crediamo di poterne fare a meno invece, senza di essi, saremmo niente, un soffio di vento che si perde nell’aria.

I ricordi sono i protagonisti di “Rossovermiglio” di Benedetta Cibrario, pubblicato da Feltrinelli e vincitore del Premio Campiello 2008.

Una trama costellata d’impressioni e voci, emozioni lontane e sbiadite, struggenti immagini di una vita che corre lungo un secolo.

La narratrice è la protagonista: una donna inquieta e passionale, solitaria e ribelle, aristocratica e coraggiosa. E’ la sua voce a rendere il viaggio interessante e intrepido, un viaggio culinario che si confonde tra le regole ferree dell’aristocrazia piemontese di inizio ‘900 quando nascono fabbriche di dolciumi e birra che tanto inorridiscono i nobili e la torta di nocciole che riempie di aromi la cucina della “Bandita”, la tenuta toscana madre del “Rossovermiglio”, uno dei vini più pregiati al mondo, luogo mistico e reale, nel quale la protagonista approda per riprendere a vivere. E’ un viaggio irresistibile, contrastante, riflessivo. Perché i ricordi s’inerpicano tra i gusti e li rendono pungenti ma autentici: ci sono i momenti in cui la protagonista è bambina, a casa dell’austera nonna, dove non manca un cameriere che serve biscotti; frangenti in cui, adulta, s’innamora dell’uomo sbagliato, il giovane che come lei ama il cioccolato, lo champagne e le sere brevi dell’inverno torinese; frames di quando la bella e sofisticata madre organizzava le cene e convogliava l’attenzione sul cuoco che, con le sue mani e la sua grazia, sapeva trasformare un petto di pollo e una macedonia di frutta fresca in un menù francese di altissimo livello.

Tra i capitoli spiccano dolci merende a base di tè al bergamotto; panini con olio, formaggio e uova da preparare di notte, in gran segreto; gallette dolci e ravioli alle erbette; colazioni a base di tacchino al limone che serve a lenire una ferita che appartiene al passato ma ancora aperta.

Il luogo in cui i tormenti nascono e i sentimenti viaggiano più veloci delle stelle cadenti è “la Bandita”. Una tenuta nascosta tra le verdi colline toscane, dove l’aria profuma di terra e cielo e dove le notti sembrano essere più dolci che in qualsiasi altro luogo. Lei, qui, trova una terra difficile, mai docile. Lei, qui, trova un tetto, una vecchia casa piena di spifferi, un gruppo di persone che preferisce chiamarla “contessa”. Lei, qui, incontra la sua anima. Tra le viti del Rossovermiglio, lo studio, l’impegno, i tentativi e l’aiuto che arriva come un fulmine dal cielo, inaspettato ma non tardivo, lei inizia a vivere, a ricordare, a nascondere segreti e meraviglie.

“Rossovermiglio” è un libro costellato di sfumature intense, passioni eterne e aromi pungenti; di tovaglie di fiandra e tovaglioli in coordinato; di spezie e ortaggi; di ingredienti sofisticati e di ricette casalinghe; di argenterie e gioielli; di campagna e sole, nebbia e vento. La narrazione è un susseguirsi di flashback dettagliati che s’incastrano alla perfezione tra le struggenti emozioni e le immagini che ogni descrizione riesce a evocare. Il ritmo è quello tipico del diario, pregno di sentimenti e descrizioni nate dall’occhio coraggioso e autentico della protagonista che accompagna il lettore verso il suo io più profondo, verso l’anima dei luoghi e nella semplicità dei gesti.  

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