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Recensione: “Il mare dagli occhi” di Paolo Tomassi, Scatole Parlanti.

il mare dagli occhi

Con la borsa della frutta sulle proprie gambe, lei lo guardò incuriosita, passandogli una fragola.

«Che c’entra la minestra della nonna?».

«Sai che adoro la minestra di legumi e che la mangerei anche tutti i giorni, eppure, da bambino no, i fagioli non li mangiavo. Come vedi qualcosa è cambiato e vale anche per le candeline». Citazione tratta da “Il mare dagli occhi”.

Il cambiamento è una trasformazione che avviene in seguito a un processo che coinvolge l’individuo, il suo ambiente, la società in cui vive. Mi piace vederlo come un risultato, come la meta dopo un lungo viaggio.

Se volessi utilizzare un solo termine per presentare “Il mare dagli occhi” di Paolo Tomassi, edito da Scatole Parlanti, userei proprio il cambiamento inteso come transito, come un moto.

La trama si snoda attorno a Marina e Liliana. Marina è giovane ed è in cerca della sua identità artistica e personale, è allergica alle fragole, ma questo non le impedisce di gustarle fresche e di stagione. Liliana è la migliore amica della sua defunta nonna, è un’affermata scrittrice e un’appassionata pianista, ama i silenzi e la concentrazione, è arrivata a Roma per restare (dopo aver lavorato tanti anni a Milano) ed è sempre stata una presenza costante nella vita di Marina.

Nelle prime pagine, il lettore conosce anche la famiglia della ragazza: papà Livio, mamma Paola, fratelli e amici.

Il cambiamento si avverte subito, nei primi capitoli: Marina è disorientata ed è in cerca di una strada che la ispiri; Liliana sta cercando di fare ordine tra la voce dei personaggi del suo prossimo libro e, da lontano, appare la figura di nonna Elena che Marina sente il bisogno di conoscere. L’amicizia tra Liliana ed Elena è il trigger: Marina avverte il desiderio di riprendere le tappe della vita della nonna per trovare sé stessa e riesce a farlo proprio grazie alla memoria della scrittrice. Sullo sfondo l’Istria del periodo post bellico, quando molti italiani furono costretti a lasciare le loro case e quel senso di libertà che si era rivelato un inganno.

Le due protagoniste evolvono, entrambe in balia del cambiamento che il passato genera: per Liliana è un ritorno, per Marina è una scoperta. Ci sono segreti, silenzi, ingiustizie, sgambetti del destino e un viaggio da compiere per arrivare alla verità che condurrà a una nuova e ulteriore trasformazione che coinvolgerà tutti i personaggi.

C’è un secondo aspetto che colpisce, in questa lettura, ed è legato al mondo dell’arte che Paolo Tomassi ha narrato. L’autore ha scelto di affidare la scrittura e la musica a Liliana e l’arte pittorica a Marina: scelta di non facile applicazione, mi permetto di dire, ma ben riuscita. Ci sono passaggi delicati, in cui l’autore cattura l’arte di Marina e la riporta, sotto forma di parole, con uno stile preciso ma comprensibile. Si ha come l’impressione di “leggere” un quadro e l’effetto generale è piacevole, originale. Anche in questi passaggi, la sensazione di trasformazione è piuttosto evidente.

Sul concetto di ispirazione, l’autore torna spesso: lo esplora, lo analizza, lo inserisce accanto alle vicende che vivono i suoi personaggi e lo spiega con precisione, quando Marina giunge nel suo performace peak, durante un’esecuzione pittorica, una delle più significative del romanzo.

Un’ulteriore nota va a favore dei sentimenti sui quali ruota il romanzo: l’amicizia e l’amore. Il primo coinvolge totalmente la giovane Marina e l’anziana Liliana che, davanti a tè e biscotti si confrontano su esperienze, lotte giovanili e speranze ponendo così le basi del legame che sigillerà le loro vite. Il secondo potrebbe apparire meno esplicito perché appare nel bel mezzo della trama, ma, proseguendo nella lettura, ci si accorge di quanto sia importante: è un nodo centrale e indispensabile.

Infine, “Il mare dagli occhi” racconta la libertà, le radici, le differenze, e quel cambiamento sociale che, ancora oggi, resta un tema di grande rilevanza. Un racconto efficace attraverso un altrettanto efficace utilizzo del linguaggio gastronomico, ben evidenziato dalla seguente citazione. Una delle più gradevoli, secondo me.

«Aveva imparato a parlare senza fare distinzioni tra vocaboli italiani croati o magiari, visto che tutti si usavano indistintamente in casa. Quando da bambina mescolava tutto nello stesso discorso, suo padre e diceva che quelle sue conversazioni somigliavano al menu di una qualsiasi famiglia istriana, in cui il gulash si mangiava insieme agli gnocchi di patate, e i krauti erano buoni quanto i “Risi e Bisi”.

Si ringrazia l’ufficio stampa, nella persona di Valentina Petrucci, per il file lettura in omaggio.

Nota biografica dell’autore:

Paolo Tomassi è nato a Roma nel 1970. Nel 2016 si è trasferito stabilmente a Venezia. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne sotto la guida di Agostino Lombardo, ha pubblicato Grano della Speranza (L’Autore Libri Firenze, 1990) e attualmente lavora come docente. Ha scritto alcuni saggi in formato digitale sulla glottodidattica – Adolescenti e glottodidattica e Full Time Tutoring System, (2016) – e gestisce un canale YouTube. Alla Serenissima ha dedicato la trilogia Marzio Marin, il cui primo episodio, El Vèro e Le Vére, è stato pubblicato da Casa Editrice el squero nel 2020.

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