C’e una generazione che ha ritrovato se stessa e i suoi principi amorosi in un film inglese divenuto cult nel 2001. Molti di voi ricorderanno le avventure di Bridget Jones, in quel suo “diario” che spopolò al botteghino e divenne un esempio di come le faccende amorose, quelle che troppe volte crediamo appartengano all’emisfero dei problemi irrisolvibili, sanno essere un ottimo argomento per una valida e duratura riuscita letteraria e personale, quando trattate con la giusta dose di ironia.
Leggere “Uomini, attacchi di panico e altre disgrazie” di Angelica Romanin, è stato come tornare tra le scene del film e sentire quelle vibrazioni ironiche e leggere che fungono da veicolo per raggiungere uno scopo chiaro e netto: la felicità.
Angelica è voce narrante e protagonista, ti prende per mano e ti presenta la sua intimità, la più fragile, nascosta dietro a racconti divertenti e spassosi. Lei, nel suo diario, si mostra in tutta la sua più gradevole forma: giovane e inesperta, spigliata e fragile, sognatrice e lucida, passiva e lottatrice. Proprio questo ultimo aspetto, la lotta interiore, è un elemento che emerge, con prepotenza, tra le fasi del diario e che impregna pagine e pensieri, soprattutto nei tratti in cui la protagonista è certa di non avere le armi adatte per superare l’ennesima prova.
Gli amori si susseguono, segnati da delusioni che la spingono all’interno di un mondo sconosciuto e brutale. E, ogni volta, la battaglia contro se stessa si amplifica, i dubbi si attorcigliano, l’amore si confonde con l’idea che esso produce. Allora i sogni sfuggono e la realtà presenta il conto.
Caro, sempre di più…
I sentimenti esplodono e Angelica inizia a perdere. È con Alberto, l’amore della vita, che inizia la discesa. Si chiede quando arriverà la maturità, davanti alle sorprese degli ovetti di cioccolato che lui continua a collezionare, nonostante i suoi vent’anni; perché la pizza della sera con gli amici, quel dolce aroma di impasto lievitato e chiacchiere, è il pretesto per lasciarla a casa, da sola; quando troverà il suo posto nel mondo, a un banchetto perfettamente organizzato dove spiccano tartine al salmone, panini imbottiti, spiedini di frutta fresca, spumante e dolci a volontà; quando lui ci mette venti muniti per scegliere i biscotti della colazione e lei è lì, pronta a dividersi in due e crollare a terra.
Angelica inizia a capire quando davanti a una carbonara si rende conto che non sente più gusto; quando il bicchiere d’acqua della mattina è l’unico contatto con la vita, l’unico che il suo organismo riesca a tollerare; quando la luce al neon sopra al banco dei latticini, al supermercato, abbaglia ed espande le sue paure; quando un piatto di gnocchi alla zucca, bagnati di burro e salvia, diventano macigni da ingoiare e quando cucina, in compagnia, un piatto di spaghetti con le vongole, il piatto tipico delle soleggiate giornate estive, nelle quali il sole è di tutti.
Angelica inizia a vincere quando il pane del fornaio diventa il pretesto per uscire e affrontare la strada, da sola; quando si ritrova nella filosofia ayurvedica e nella sua alimentazione distinta e lineare; quando ce la mette tutta per cucinare una pasta al forno, accompagnata da torta salata e dolcetti al mascarpone, per mantenere il legame, ancora e nonostante tutto; quando un vassoio di bignè finisce nella spazzatura, intonso, perché i dolci non perdonano e lei questo lo sa.
Tutto finisce, come le scorte nella credenza.
Tutto rinasce, come quando vai a fare la spesa e riempi, di nuovo, la dispensa.
“Uomini, attacchi di panico e altre disgrazie” è una conseguenza, una scelta, una partenza verso l’ignoto e un arrivo al centro di un’esistenza che deve ancora sbocciare.
Angelica Romanin, nel suo romanzo auto pubblicato, con ironia e leggerezza, tra un polpettone con parate arrosto, un ragù da curare e serate a base di spaghetti al pesto scrive di vita, di doveri e libertà, di amori e follie, di speranza e depressione. Ma, soprattutto, scrive una storia eterna e moderna, con un “lieto fine” tutto da leggere.