I viaggiatori si distinguono in due categorie, a mio avviso.
Nella prima si raccolgono quelli che analizzano, studiano, programmano, scrivono elenchi. I perfezionisti, insomma.
Nella seconda, invece, si inseriscono quelli che immaginano, sognano, idealizzano; quelli che non desiderano altro che fidarsi e lasciarsi coinvolgere.
La prima categoria ama la meta; la seconda il viaggio.
I primi si preparano; i secondi sono sempre pronti.
Il futuro, per entrambi i gruppi, è ancora tutto da scrivere e, ci auguriamo, il viaggio torni a essere uno degli aspetti fondamentali delle nostre vite.
Né “L’arte di ascoltare i battiti del cuore” scritto da Jan-Philipp Sendker, edito da Neri Pozza e tradotto da Francesco Porzio, i viaggiatori non appartengono a nessuna delle due categorie citate.
Mi spiego meglio.
Julia non vorrebbe farlo il viaggio. Vorrebbe che suo padre fosse ancora lì, nella sua bella casa, a condividere i suoi successi. Vorrebbe non aver trovato gli indizi che ripercorrono un viaggio in oriente, nella sconosciuta terra che non sembra aver mantenuto alcun legame con l’uomo fermo e deciso che è diventato suo padre.
Eppure il destino gioca, anche se noi non comprendiamo le sue regole. E, proprio per questo, non è sempre possibile comandare la nostra vita. Anzi, a volte è più conveniente adattarsi agli eventi e accettarli, altrimenti la guerra interiore potrebbe durare in eterno.
Per Julia inizia un viaggio vero, uno di quelli che crede di non riuscire a seguire, perché i passi, le parole e i ricordi la obbligano a scendere sempre più in basso, verso il cuore, verso l’anima. Lo scontro con la realtà birmana è autentico, forte. Il sipario si apre su un mondo a lei sconosciuto che, tuttavia, non teme di farsi conoscere.
L’impatto con la tradizione culinaria è altrettanto forte. Julia è abituata a sorseggiare un tè caldo accompagnato da un buffet di dolci, cioccolatini e gelati, accoccolata tra le comode poltrone di uno dei più lussuosi hotel di Manhattan. Invece, all’interno della sala da tè dove incontra U Ba, l’uomo che sembra conoscere suo padre meglio di lei, Julia riceve del tè, cotto su un vecchio fornello a gas e i suoi occhi si posano su dolcetti di riso all’apparenza poco invitanti. Ma, Julia non teme il confronto, nemmeno la differenza. Il suo obiettivo è certo: ritrovare suo padre.
Ogni rimando alla certezza culinaria del benessere diventa un chiaro simbolo di essenzialità nella Birmania in cui Julia è atterrata. Il ricordo lontano della colazione in casa, nel giardino d’inverno, dove lei e sua madre gustavano dolci di cannella, salmone affumicato, confetture e succhi di frutta si scontra con quella servita nell’hotel dove soggiorna, a base di caffè bruciacchiato e uova distrutte più che strapazzate; ci sono i pranzi al “The Plaza” a base di caviale serviti su fondi d’argento lucido che sembrano appartenere a una vita lontana e che non hanno nulla in comune con il pollo al churry birmano accompagnato da sfogliate di pane che U Ba serve con tovaglioli consunti e cucchiai di latta.
Per Julia il viaggio è fisico, mentale, interiore, vivo come non avrebbe mai creduto. La cucina, i prodotti genuini locali (campi di carote e patate, bancarelle di pesce, distese di riso e cipollotti, avocado e banane che colorano i rami degli alberi) si fondono con il racconto di U Ba le cui parole si tingono di suggestioni e ricordi, che descrivono la vita difficile di un ragazzo solo, di un amore che non ha fine. Julia beve caffè solubile e la mente vola a immaginare suo padre laggiù, gli aromi delle spezie (il churry, principalmente) amplificano le emozioni e i momenti a tavola, dove i frutti maturi della terra hanno la capacità di unire (o allontanare) le persone.
Jan-Philipp Sendker ha scelto un doppio punto di vista. Il primo punto di vista è affidato a Julia, al suo presente e al suo passato, alla sua vita lussuosa e, apparentemente, perfetta; la seconda è la narrazione in terza persona ed è U Ba, il misterioso birmano che funge da guida fisica e spirituale di Julia a raccontare. Il personaggio cardine è il padre di Julia, la cui presenza aleggia potentemente in ogni pagina, in ogni ricordo. L’abilità dello scrittore, in questo senso, è una certezza: gli elementi della trama, l’ambiente circostante e la minuziosa descrizione del luogo rendono il romanzo un’eccellente prova di scrittura. Infine. “L’arte di ascoltare i battiti del cuore” non è solo una grande storia d’amore. È un inno alla scoperta di se stessi, alla fiducia, alla rinascita di valori e sapori della terra, e del conseguente legame indissolubile che si crea tra l’uomo e il suo luogo di appartenenza.