Secondo voi esiste una spiegazione logica che possa determinare la scelta di un libro? Mi spiego meglio… Tralasciando le elaborate tecniche di marketing, packaging e grafica che si applicano in editoria, sono i sentimenti che proviamo ad amplificare o ridurre la curiosità verso un genere letterario specifico? Esiste una forza empatica che ci fa puntare gli occhi su un titolo o su una copertina? Oppure andiamo a colpo sicuro, in base alle mode e alle influenze esterne?
Mi sto ponendo queste domande da quando ho terminato “La morte non fa rumore”, romanzo storico-giallo di Volker Kutscher, edito da Feltrinelli e tradotto da Lucia Ferrantini. Non mi ha conquistato, in principio, e ammetto che ho pensato di abbandonarlo, in più occasioni.
L’autore ha creato il commissario Gereon Rath e gli ha affidato il ruolo di protagonista dei suoi romanzi polizieschi ambientati nella Germania degli anni trenta. Rath è un uomo che nasconde la sua fragilità tra le note del jazz e del cognac; è il commissario ribelle che, ne “La morte non fa rumore”, deve affrontare una serie di delitti e personaggi indecifrabili all’interno del mondo del cinema dell’epoca.
La struttura stilistica è complessa. L’autore ha scelto un ritmo lento, carico di suspence, basato su brevi descrizioni ambientali e dialoghi diretti, controllato, d’attesa, che vibra e si spegne. Un ritmo struggente, che finisce per catturare. E intrappolare. Lo sviluppo della trama è proprio questo: un crescendo di intrighi che va gustato lentamente, con la giusta dose di pazienza, come un piatto caldo appena tolto dal forno, che deve raffreddarsi per essere apprezzato.
La trama culinaria de “La morte non fa rumore” è perfettamente inserita nell’ambientazione temporale. Gli ingredienti sono quelli semplici e poveri che si trasformano in piatti ricchi e saporiti. Quando iniziano le indagini, Rath si trova imprigionato nel profumo delle cipolle, dei cavoli e del fegato, il piatto caldo delle domeniche gelide; offre pace ai colleghi con una minestra di lenticchie alla sveva (una tradizionale base di lenticchie arricchita da pancetta e salamella); si concede pause a base di gulasch, salsiccia affumicata e insalata di patate, lombata e patatine fritte nel ristorante di fiducia; si lascia conquistare dalla raffinatezza di un filetto di pesce, patate e verdure fresche durante un incontro che non avrebbe mai dovuto avere luogo. Un breve flashback ci lascia immaginare Gereon Rath in casa, durante un recente compleanno, tra le mani una torta alle nocciole realizzata da sua madre e un nuovo flash, più struggente del precedente, ci mostra l’amore che prova per la bella Charly, davanti a tartine, un vassoio di formaggi pregiati e del caviale. Ma, in questo frangente, l’amore deve pazientare perché ci sono delitti da risolvere con urgenza, Rath né è consapevole quando si obbliga a ingurgitare torte di ricotta e crostate di uva spina per assecondare i gusti del suo superiore e nascondere le sue insubordinazioni.
“La morte non fa rumore”, attraverso le pieghe della cinematografia a metà strada tra finzione e realtà, sprigiona sapori intensi e rende omaggio alla grande tradizione culinaria tedesca con un’interessante e intrigante passo nell’esotismo della cucina cinese. La penna acuta di Kutscher accompagna Rath e il lettore all’interno dei mercati del luogo, nella comunità cinese e nei suoi ristoranti, alla ricerca di un frutto misterioso ed esclusivo, lo Yangtao, in un viaggio che, apparentemente, non ha confini.
Il risultato finale è un susseguirsi di affascinanti colpi di scena da gustare fino al finale sconcertante e impressionante.