Intervista a Daniela Piazza, autrice del romanzo La Brigante, AltreVoci Edizioni

Nessuno è esente da peccati. Continuo a pensarci, dopo aver terminato la lettura del romanzo “La Brigante” di Daniela Piazza, AltreVoci Edizioni, perché in questo secondo volume (ma anche nel primo, se ti va di leggere il mio articolo lo trovi  qui), mi resta impressa la facilità con la quale il lato fragile dell’uomo si presenta, in molte sue forme. Una fragilità toccante che fa emergere rabbia e coraggio, solitudine e rivalsa, dolori lontani e mai dimenticati che avvolgono i personaggi: Francesco, Matelda e Filippo.

Ti piacciono i libri ambientati in contesti storici lontani, personaggi in conflitto con se stessi e descrizioni realistiche di un passato che ha segnato la Storia? Bene, sei nel posto giusto. Daniela Piazza, autrice del romanzo “La Brigante”, ha accettato il mio invito a parlare della sua pubblicazione e di molto altro. Gustati l’intervista!

VG: Buongiorno, Daniela. Benvenuta e grazie per aver accettato il mio invito.

DP: Grazie a te e grazie soprattutto per aver apprezzato “Il bastardo” e “La brigante”, i primi due volumi della mia saga dedicata alla rivalità tra le importanti famiglie liguri Fieschi e Doria.

VG: Se dovessi descriverti, e avessi a disposizione poche righe, cosa diresti di te e della tua storia?

DP: La mia vita, apparentemente tranquilla e un po’ banale, è paragonabile alle “Montagne Russe”: un’alternanza di momenti di grande fortuna e felicità alternati ad altri di dolore profondo. Un po’ come quella di quasi tutti, forse, ma… con salite e discese un po’ più ripide della media, decisamente. Anche la vita dei protagonisti di questa saga è così, anche se prevalgono più nettamente i momenti tragici rispetto a quelli di felicità.

VG: Si dice che la scrittura sia spesso un’evoluzione dell’amore per la lettura. Sei d’accordo? Chi sono i tuoi autori preferiti?

DP: Sono, da sempre, una lettrice onnivora e forse non particolarmente raffinata e soprattutto non particolarmente aggiornata: i libri di classifica o i premiati  sul mio comodino arrivano con un certo ritardo, ma prima o poi arrivano. Da ragazzina amavo soprattutto i libri di avventura, da Salgari a Dumas (ma ho letto durante l’adolescenza anche gran parte dei “classici” della letteratura italiana, russa, francese e tedesca) e questo sicuramente ha influenzato anche le mie scelte di scrittrice. Il mio romanzo preferito è e sarà per sempre “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas e solo riflettendoci adesso mi rendo conto di quanti riferimenti a questo testo si trovino anche nella mia saga “ligure” (alcuni li riconoscerai soprattutto nel terzo volume). Mi piacciono i romanzi che raccontano storie di vita forti, commoventi, storie di passioni estreme o di grandi sentimenti, nel bene e nel male. Nella letteratura contemporanea, oltre ai romanzi storici che apprezzo in tutte le loro forme, da quella più strettamente biografica a quella più intrisa di mistero e fantasia, mi affascinano particolarmente i romanzi dove ritrovo qualcosa di me, della mia vita (ad esempio, ho molto amato “Venuto al mondo” di Margaret Mazzantini) ma anche quelli che sperimentano un linguaggio nuovo, sperimentale (come “Ferrovie del Messico” di Gian Marco Griffi).

VG: Parliamo d’ispirazione. Che cos’è, l’ispirazione per un autore e, se puoi, vorresti raccontarci con quali modalità o mezzi attivi la tua?

DP: Credo che per ogni autore sia qualcosa di molto diverso, estremamente soggettivo. Di solito le mie idee migliori nascono all’improvviso, mentre sto pensando a tutt’altro o, ancor meglio, mentre non sto pensando affatto (ammesso che esista questa condizione): ad esempio mentre passeggio rilassata, mentre vado in bicicletta o di notte, nel dormiveglia. Poi, però, subentra l’elaborazione dell’idea e questo è un processo razionale, programmato, che spesso richiede tempi molto lunghi.

VG: Momento più propizio della giornata per scrivere: mattina, pomeriggio, sera o notte?

DP: Ho bisogno di avere molto tempo davanti a me e pertanto non riesco a scrivere “nei ritagli di tempo”, in qualunque momento della giornata si collochino. Di solito passo un’intera mattinata a riprendere il filo, rileggere, correggere, modificare quanto già fatto, poi, nel pomeriggio, finalmente, riprendo il discorso e procedo. Non riesco assolutamente a scrivere dopo l’imbrunire, credo non sia mai successo nella mia vita, nemmeno quando ho avuto scadenze pressanti.

VG: La scelta di scrivere romanzi ambientati in un periodo storico come quello che hai scelto – le Crociate – è stata una scelta determinata da quale fattore?

DP: È stata del tutto casuale. In precedenza, se mai avevo pensato alla possibilità di scrivere qualcosa, era piuttosto riferita all’attualità. Il mio primo romanzo storico (che paradossalmente, è l’ultimo pubblicato, e proprio quello di cui “Il bastardo” e “La brigante” costituiscono i primi due volumi) è nato da un lavoro di storia dell’arte fatto in classe insieme ai miei alunni: in quell’occasione, per la prima volta, mi sono resa conto di avere grande facilità a immaginare situazioni emozionanti e di divertirmi moltissimo a farlo. Ho deciso perciò di provare a trasformare quel breve testo in un romanzo e, poiché il racconto era legato a un lavoro sull’architettura medievale in Liguria, la scelta di quel periodo è stata consequenziale. L’apprezzamento di quel primo esperimento, che mi ha portato a collaborare con la Casa editrice Rizzoli, sia pure su nuovi soggetti, mi ha convinto a proseguire in quella direzione, che mi si è rivelata in effetti particolarmente congeniale. Da allora ho pubblicato quattro romanzi storici con Rizzoli, prima di avere la soddisfazione di vedere in libreria anche il primo nato, grazie a una nuova Casa Editrice, Altrevoci.

VG: Le fonti sono essenziali per ricreare l’ambientazione ma soprattutto l’atmosfera, in romanzi ambientati nella Storia, perché attraverso una buona analisi l’autore riesce a creare maggiore coinvolgimento e accontenta anche i palati più fini. Sappiamo però che oggi le fonti sono tante, tantissime. Come le hai scelte? E quali hai usato?

DP: Ci vuole tantissima pazienza e soprattutto molta serietà di intenti. Oggi naturalmente tutto è reso molto più semplice dall’amplissima gamma di testi a disposizione su Internet. Proprio questa ricchezza può essere però un’arma a doppio taglio, perché non tutti i siti che si possono consultare sono veramente seri e attendibili. Bisogna perciò sempre partire da una approfondita ricerca bibliografica e dai testi basilari sull’argomento. È un lavoro molto lungo e impegnativo ed è anche il motivo per cui, dopo aver scritto per Rizzoli un romanzo, “Il tempio della luce”, ambientato nella seconda metà del Quattrocento, ho deciso di rimanere legata a quel periodo (che io adoro, per ragioni dovute soprattutto all’arte) anche nei successivi tre. Le difficoltà aumentano più si va indietro nel tempo, perché le notizie sono meno sicure, i testi si contraddicono l’un l’altro, cambiano le trascrizioni dei nomi (un vero dilemma è stato trovare il nome corretto dei Sultani dell’epoca della VII Crociata nella della mia trilogia medievale e non sono affatto sicura che quella che ho usato sia la trascrizione migliore). Per ciò che riguarda la descrizione delle fasi della Crociata, però, sono stata enormemente aiutata dall’esistenza di un testo, la “Storia di San Luigi” di Jean de Joinville, scritto da un testimone diretto, un Crociato appunto, che vi partecipò.

VG: Come sai, Bood punta sempre lo sguardo sull’ambito gastronomico perché la cucina è un linguaggio.

«Maledizione!.»

Con un moto di stizza, Francesco scagliò il boccale sul tavolaccio, contro quei maledetti dadi che non ne volevano sapere di aiutarlo. Il bicchiere si frantumò in mille pezzi, i dadi schizzarono via e il vino dilagò sul panno steso sul bancone, inzuppandolo.

Questo è l’incipit del romanzo. Hai scelto il vino e, con questo elemento, hai dato al lettore una connotazione precisa che rende bene l’idea del momento, dello stato emotivo, dell’atmosfera. Ti andrebbe di raccontarci come hai reperito anche le fonti gastronomiche? Immagino non sia stato facile…

DP: In realtà, ci sono siti che riportano molte notizie circa le abitudini alimentari delle epoche da me trattate e sono perlopiù abbastanza attendibili. Ho dato particolare risalto a questo tema ne “Il brigante” con la descrizione di un banchetto pasquale alla corte di papa Innocenzo IV. Negli altri libri, sono riuscita addirittura a trovare le descrizioni dettagliate di alcuni banchetti, trasmesse dagli ambasciatori degli altri Stati ai loro Signori. Ad esempio, ne “Il tempo del giudizio” ho descritto nei dettagli, seguendo le cronache contemporanee, il banchetto allestito dal cardinale Pietro Riario per la principessa Eleonora d’Aragona.

Ma il cibo ha una grande importanza in tutti i miei romanzi: nei miei due gialli, “La morte non ha rispetto” e “Addio, Bocca di rosa”, appena uscito, è coprotagonista un’anziana signora appassionata di cucina tradizionale, e sono descritti gli ottimi piatti che prepara per chi le va a genio.

VG: Francesco e Matelda. Sono due personaggi che, con la loro storia passata (vicenda che hai introdotto nel primo volume), si sono presi un’ampia fetta della narrazione. Ti chiedo di scegliere qualche elemento della loro complessa personalità, per presentarli ai lettori. Io ne scelgo uno che mi ha colpita, e che ho avvertito anche nel primo romanzo: il conflitto. È così potente che rischia di divorarli e, se me lo permetti, sembra contagioso, tanto che arriva a coinvolgere anche altri personaggi…

DP: Hai perfettamente colto la caratteristica principale dei miei personaggi: il conflitto è proprio il termine chiave. È un conflitto che inizialmente riguarda uno solo dei protagonisti: Francesco, ma che partendo da lui sembra davvero quasi “contagiare” gli altri. Francesco è un protagonista molto scomodo: è difficile provare per lui qualsiasi moto di simpatia, talmente è davvero “bastardo”, non solo di nascita ma anche di carattere. In realtà, invece, io ho una certa tolleranza nei suoi confronti perché penso che il primo conflitto, sia pure nascosto, Francesco lo abbia con se stesso. È lui a sentirsi incerto, diverso dai suoi fratelli legittimi, figlio di un amore probabilmente sbagliato, forse addirittura figlio di colui che ufficialmente è suo zio, papa Innocenzo IV Fieschi, e questo lo porta a voler dimostrare a tutti i costi di essere invece, forte, sicuro, coraggioso, superiore agli altri e a voler partire per la Crociata con lo scopo di tornare ricco e coperto di gloria. Sua moglie Matelda, una nobildonna francese che lui conosce dopo aver seguito a Lione lo zio Innocenzo IV,  in fuga dall’imperatore Federico II di Svevia, è inizialmente un personaggio positivo, ma la difficoltà del suo rapporto con Francesco, fatto di violenze, incomprensioni, riappacificazioni, esplosioni di passione e poi di nuovo odio e rabbia, unita alle tragedie che la colpiscono, la porta a compiere a sua volta delle scelte non ortodosse, forse addirittura immorali (di certo lo sarebbero state per la morale dell’epoca) e, addirittura, a diventare una “brigante”.

VG: Filippo, l’amico, il fedele amico. Mi sono trovata ad attendere il suo arrivo, a chiedermi quando sarebbe tornato nella vita di Francesco. Personaggio chiave, Filippo. Lo vuoi presentare a chi ancora non lo conosce?

DP: Filippo è l’esatto contrario di Francesco, eppure ne è il migliore amico, sempre al suo fianco fin dall’infanzia in terra ligustica. Sarà però costretto ad attendere un anno per poter partire per la Crociata e ricongiungersi a Francesco in terra d’Egitto. Chiaro di pelle e di capelli quanto l’altro è scuro, simpatico e accomodante quanto l’altro è prepotente e aggressivo, sembrerebbe “l’eroe buono” della situazione. Eppure anche lui, in qualche modo, è contagiato dal clima di tensione e di egoismo che si respira intorno a Francesco. Nemmeno Filippo è senza macchia e senza peccato: lo salva solo la consapevolezza dell’errore e l’acuto senso di colpa che ne deriva.

VG: Francesco non si era ancora abituato a queste immagini di morte e violenza, scrivi. Un concetto, questo, che apre riflessioni profonde, obbligate, quando si affronta la guerra. La guerra è tema che hai maneggiato con cura, esplorandolo e rendendolo parte fondamentale della tua narrazione. Che messaggio vorresti far arrivare ai lettori, soprattutto ai più giovani?

DP: Nei giorni scorsi, a un concerto, ho sentito parlare del compositore Maurice Ravel e del suo simpatizzare per l’interventismo alla vigilia della Prima Guerra Mondiale (come molti altri giovani), tanto da fare di tutto per partire volontario nonostante un problema di salute gli avesse permesso di essere esonerato. Ma una volta arruolato effettivamente, la sua idea della guerra cambiò radicalmente. Gli uomini che partirono esaltati per le Crociate erano talmente convinti della loro visione eroica e religiosa della guerra da non poter certo approdare a un pacifismo che era concetto quasi sconosciuto a quell’epoca, ma certo anche la loro visione (perfino quella di un violento per eccellenza come Francesco) cambiò di sicuro di fronte a una realtà che non aveva nulla di eroico, di sacrale, di benedetto.

Ѐ facile trasformare nella propria immaginazione un conflitto in qualcosa di giusto, necessario o perfino “purificatore” finché si tratta solo di un’idea. Di fronte allo sprigionarsi dell’orrore, credo che chi vive direttamente quest’esperienza terrificante si debba rendere ben presto conto che la guerra è solo violenza, sopraffazione, annientamento di tutto ciò che di positivo costituisce l’animo umano e, spesso, manipolazione delle coscienze da parte di chi è mosso da ragioni ben diverse dal trionfo dei valori (e che solitamente rimane a osservarla da fuori). Anche se ci sono, naturalmente, situazioni in cui non ci si può esimere dal prendere posizione, in modo anche attivo (penso alla Resistenza, ad esempio) ogni qualvolta sia possibile credo si debba ricorrere allo strumento della diplomazia. Proprio negli anni della VII Crociata, che si risolse in un disastro totale, Federico II di Svevia, con i soli mezzi della diplomazia, era riuscito a ottenere il titolo di “re di Gerusalemme”, con il risultato di essere scomunicato dalla Chiesa, che non voleva venire a patti con i nemici della Fede.

VG: In questa lettura ho trovato alcuni reminder strategici al primo volume, e sappiamo che, in tutto, saranno tre. Perché hai scelto proprio una trilogia?

DP: Anche in questo caso si è trattato di una scelta obbligata. Il romanzo, come detto, è il primo che ho scritto. Non avevo ancora esperienza professionale, non avevo idea di quanto dovesse essere lungo un romanzo “pubblicabile”. Abituata ai miei classici alla Dumas (e amando molto libri ponderosi come “I pilastri della terra” di Ken Follet), mi sembrava sempre che mancasse ancora qualcosa. Quando il testo è stato esaminato dall’editore che lo ha poi dato alla stampa, è stato giudicato assolutamente troppo lungo. Abbiamo perciò deciso di comune accordo di operare una revisione, dividendolo in tre parti, ma lavorando ad ognuna di esse in modo da renderle almeno parzialmente autoconclusive.

In realtà, però, è possibile che io decida di scrivere ancora un quarto volume, perché ci sono alcuni aspetti che forse il lettore vorrebbe vedere più “conclusi” (non posso raccontare quali, naturalmente).

VG: Stai lavorando ad altri progetti letterari? Se sì, quali?

DP: Al momento sono impegnata nella revisione del terzo volume della saga. Dato che ho anticipato al secondo volume tutti i capitoli che riguardavano Matelda, in modo da renderla maggiormente protagonista, ora tutta la sua parte è rimasta scoperta, perciò mi manca praticamente mezzo libro.

Inoltre, come ho accennato, è appena uscito il secondo giallo della serie ambientata nel mio paese, Celle Ligure, “Addio, Bocca di rosa” (Ed. Laurana Calibro 9). Mi sono molto divertita a ideare questi nuovi personaggi: un maresciallo bibliofilo e un po’ distratto, un’anziana scorbutica ma all’occorrenza generosa (anche con i suoi manicaretti, come ho già raccontato) e la sua badante, poco propensa ad accettare le lamentele della signora e capace di risponderle a tono. Il primo romanzo (“La morte non ha rispetto”) ha incontrato un’ottima accoglienza e, dopo aver vinto il Premio Nebbia Gialla 2021, è andato in finale all’importante Premio Ceresio in Giallo. Spero che anche questo secondo possa incontrare il favore dei lettori. Di sicuro credo che saprà… sorprenderli!

VG: Grazie, Daniela, per essere stata con noi.

DP: Grazie a Valeria, al blog e a tutti i lettori. Ѐ stato un vero piacere. W i libri, w la lettura e w… la buona tavola!

Si ringrazia l’ufficio stampa di AltreVoci per l’invio del file lettura.

Nota biografica dell’autrice:

Daniela Piazza è nata a Savona nel 1962. È laureata in Lettere, con specializzazione in Storia dell’Arte, e diplomata in pianoforte al Conservatorio “N. Paganini” di Genova. Insegna Storia dell’arte nel Liceo “Chiabrera/Martini” di Savona, dove si occupa anche dell’attività del Laboratorio musicale. Come musicista, si è esibita in duo pianistico e fa parte del Coro Anton Bruckner e del gruppo Pro Musica Antiqua.

Ha pubblicato articoli a soggetto storico-artistico prima di esordire con il fortunato romanzo storico “Il tempio della luce”, edito nel settembre 2012 da Rizzoli e accolto con notevole interesse da stampa e lettori, a cui hanno fatto seguito “L’enigma Michelangelo” (Rizzoli, 2014) e “La musica del male” (Rizzoli, 2019) e “Il tempo del giudizio” (Rizzoli, 2022). Con AltreVoci ha pubblicato “Il bastardo” (2022) e “La brigante” (2023). Ha pubblicato un racconto giallo, “Un’estate in darsena” nella raccolta “Savona in giallo” (De Ferrari, 2014), cui hanno fatto seguito due romanzi polizieschi per l’editore Laurana, collana Calibro 9: “La morte non ha rispetto” (2022), vincitore del Premio Nebbia gialla sez. inediti e “Addio Bocca di rosa” (14 giugno 2024).

Il sito web è: www.danielapiazza.it

Lascia un commento

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora