Quando l’UNESCO conferma quello che sapevamo già: la cucina italiana è vita quotidiana, identità e relazioni

L’UNESCO ha riconosciuto la cucina italiana come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.
Leggendo le motivazioni, mi sono sentita grata e appagata perché sono i principi che amo, da sempre. Gli stessi che mi hanno motivata a scrivere il mio Diario culinario di una mamma in quarantena: il ruolo sociale del cibo, la trasmissione delle tradizioni, la vita quotidiana e familiare che si costruisce intorno alla tavola. Tutto ciò che per me è sempre stato evidente, oggi trova una conferma ufficiale.

Non è un caso. Quello che ho vissuto e scritto durante la quarantena è esattamente ciò che l’UNESCO ha scelto di salvaguardare: la cucina come pratica sociale, come linguaggio di una comunità, come spazio che tiene insieme le generazioni.

Il mio libro non è (solo) un libro di ricette

Quando ho iniziato a scriverlo, non volevo creare l’ennesima raccolta di ricette.
Ne esistono già moltissime, bellissime e perfette.

Io volevo catturare altro: i momenti.

Le serate passate a discutere mezz’ora per scegliere un film.
Le improvvisazioni quando manca un ingrediente e nasce qualcosa di insolito.
La torta diventata un must have nei compleanni di famiglia, perfettamente imperfetta.

Per questo, dopo ogni ricetta, ho lasciato spazio bianco.
Pagine per scrivere: non solo varianti o aggiunte, ma riflessioni.

  • Cosa ti ha regalato quel piatto?
  • Chi c’era a tavola?
  • Che conversazione è nata?
  • Che emozione hai provato mentre lo preparavi?

Perché la cucina è questo: un contenitore di vita quotidiana.

Le ricette del libro sono tutte semplici, quick & simple, fatte con ingredienti che hai già in casa. Nulla di spettacolare. Ed è proprio qui il punto: è nella semplicità del quotidiano che si costruisce il tessuto delle relazioni familiari.

Il ruolo sociale della cucina riconosciuto dall’UNESCO

Quando l’UNESCO e il Ministero della Cultura parlano di pratica culturale vivente”, si riferiscono a momenti speciali, che parlando di emozioni.

La cucina italiana non è fatta di chef stellati o piatti complessi.
È il pranzo della domenica.
È la nonna che trasmette una ricetta, la madre che la rielabora, la figlia che la fa sua.
È qualcuno che ti cucina un piatto quando sa che stai attraversando un momento difficile.

Nel mio libro ho cercato di onorare questo aspetto.
Ho chiesto alle donne della mia famiglia di recuperare quaderni, fogli sparsi, pagine strappate passate di mano in mano.

Non per nostalgia.
Ma perché lì dentro c’è identità.
C’è il modo in cui abbiamo costruito e mantenuto legami attraverso le generazioni.

La cucina tiene insieme le persone.
Crea appartenenza.
Costruisce memoria condivisa.

Quando prepari il piatto che cucinava tua madre, non stai solo seguendo una ricetta:
stai continuando una conversazione che va avanti da decenni.

La vita quotidiana come palestra di orientamento

Scrivendo questo libro ho scoperto qualcosa di fondamentale:
le cose che ci fanno stare bene nella vita quotidiana sono indicatori potentissimi per capire chi siamo e dove vogliamo andare.

La cucina mi ha insegnato che:

  • Creare qualcosa per gli altri mi aiuta a fare chiarezza dentro di me
  • I gesti semplici e ripetuti mi danno equilibrio quando tutto è confuso
  • Trasmettere ciò che so mi fa sentire utile
  • La felicità di chi assaggia è una vera ricompensa emotiva

Questi non sono dettagli.
Sono segnali di orientamento.
Sono la bussola che dice: “Qui c’è qualcosa di importante per te. Fermati e ascolta.”

Molte persone cercano la propria strada professionale guardando solo lontano: ruoli, traguardi, obiettivi ambiziosi.
Io credo che dovremmo guardare anche a ciò che facciamo quando non stiamo lavorando.

  • Cosa ci ricarica?
  • Cosa ci fa sentire vivi?
  • Cosa ci connette agli altri?

Il cerchio si chiude

Nel mio caso, la cucina quotidiana mi ha fatto capire che mi sento a mio agio nella trasmissione.
Questo gesto semplice mi permette di curare, di far nascere sorrisi, di scaldare mani che a volte tornano a casa gelide.

Il riconoscimento UNESCO arriva a confermare ciò che, in fondo, sapevamo già:
la cucina italiana è patrimonio non per la complessità delle ricette o la rarità degli ingredienti, ma per il modo di stare insieme che abbiamo costruito intorno al cibo.

Diario culinario di una mamma in quarantena racconta proprio questo.
Non insegna a cucinare.
Invita a riconoscere il valore di ciò che già fai, a dargli spazio, a scriverlo.

Perché quando cucini, quando porti qualcosa in tavola, stai raccontando qualcosa di te.
E quella è la tua ricetta: unica, viva, perfetta così com’è.


E tu?

Cosa cucini quando hai bisogno di ritrovarti?
C’è un piatto che per te significa casa, famiglia, appartenenza?

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