Recensione: “Don Arlocchi e il mistero del tempio romano”, di Ernesto Masina, Robin Edizioni.

Don Arlocchi e il mistero

Solo dopo aver percorso qualche centinaio di metri si accorse che non era passato a casa a fare colazione. Si fermò indeciso. Il suo amato caffelatte, i suoi pochi biscotti… Come fare a rinunciarvi? Ma poi si disse decisamente “Ho peccato di vanagloria, Signore. Non farò colazione e tu sai quanto mi costa. Accetta la mia rinunzia come espiazioni per il mio peccato”. Citazione tratta da “Don Arlocchi e il mistero del tempio romano”.

Don Arlocchi, un anziano prete che non conosce il significato delle vacanze e che ama la colazione a base di caffelatte e biscotti, si trova ad ascoltare una confessione che lo agita. Non ha scelta: deve precipitarsi in Caserma.

Siamo in provincia di Brescia, nell’area di Breno e vicinanze, ma la vicenda si spinge fino alla Svizzera e, come si evince dal titolo, c’è un mistero che gira attorno a un tempio romano.

L’atmosfera di piccola comunità che l’autore ha scelto come ambientazione si percepisce grazie alle chiacchiere, ai segreti e alle attenzioni particolari che le persone riservano ai fatti degli altri.

L’ambientazione temporale è lontana dalla nostra modernità tanto che il Commissario usa la macchina da scrivere; non c’è traccia di sofisticati strumenti d’indagine, e la sussistenza delle famiglie è, spesso, legata al pezzo di terreno da coltivare. Don Arlocchi, inoltre, non guida ed è costretto a chiedere favori al sagrestano il quale, con la sua cinquecento, è sempre disponibile ad aiutare. Pur non volendo, Don Arlocchi finisce nel pieno dell’indagine ed è costretto a lasciare la sua amata e confortante comodità per spostarsi e per scoprire cosa sta succedendo nel suo paese.

Ernesto Masina sceglie di affidare ai dialoghi gran parte del romanzo attraverso l’uso del dialetto e i flussi di coscienza di Don Arlocchi.  Questo personaggio è, come indicato anche nel titolo, a tutti gli effetti il protagonista.  La sua personalità, i suoi dubbi, la sua ansia, i suoi inciampi comunicativi e il suo rapporto con la preghiera sono una costante, nel romanzo. Inoltre, i poveri menù che gli mette insieme la sua perpetua costituiscono un’ulteriore elemento che fa emergere la sua semplicità e la sua apparente ingenuità.

Infine, una nota va ai cenni storici che l’autore ha scelto di inserire. Sono i riferimenti legati al passaggio degli antichi Romani in Valcamonica che sono stati adattati alla narrazione e alle indagini di Don Arlocchi.

Si ringrazia Ernesto Masina per la copia cartacea del libro.

L’autore dice di sé:

Sono un vecchietto che a 76 anni, stanco di leggere romanzi con una infinità di personaggi difficili da ricordare (ed un inizio di arteriosclerosi non aiuta), trame complicate e finali scontati, ha deciso di tentare di scrivere il libro che gli sarebbe piaciuto leggere.

È nato così “L’orto fascista” che non è né vuole essere un romanzo storico o politico. E’ una tragicommedia (più commedia che a volte sfiora la pochade) che si svolge in un piccolo paese della Valcamonica nel 1943, all’atto dell’invasione tedesca in Italia.

Il romanzo è stato accolto benevolmente dalla critica. Alcuni mi hanno paragonato a Piero Chiara (con mio immenso piacere in quanto da ragazzo ebbi occasione di frequentare lo scrittore varesino e di stimarlo), altri (con minor piacere) al “miglior” Andrea Vitali.

I giornalisti del quotidiano “La Stampa” hanno collocato il mio scritto nel sito “Lo Scaffale” ove vengono ospitati solo i libri che non dovrebbero mancare in ogni biblioteca privata.

Spinto dall’entusiasmo ho scritto poi, e pubblicato “Gilberto Lunardon detto il Limena” e quindi “L’oro di Breno” che sono altrettanto piaciuti.

Nel 2019 ho pubblicato il giallo “Il sosia.” Non avendo nessuna esperienza in questa tipologia di romanzi temevo un fiasco. Quindi è stata con grande meraviglia l’aver ricevuto tante mail da persone, anche sconosciute, che si congratulavano con me e che mi esortavano a continuare.

Nel 2020, per festeggiare il mio ottantacinquesimo compleanno, ho dato alle stampe “Don Arlocchi e il mistero del tempio romano” .

Nel 2021 e 22 ho pubblicato altri due romanzi.

Uno, “L’ABBRACCIO”  parla di quel maschilismo latente che spesso, troppo spesso, le donne subiscono ed a volte quasi accettano sentendosi delle predestinate. È  quella forma di violenza che è poco riconosciuta e che, a mio giudizio, è più devastante di quella fisica. È stato accolto molto bene anche dalle associazioni femminili. Concita De Gregorio ha chiarito che mai aveva letto qualcosa scritta da un uomo che interpretasse così bene i sentimenti femminili.

L’ultimo è “Nessuno” e racconta la storia di un ragazzo che alla morte dei genitori si accorge di non essere mai stato denunciato all’anagrafe né di essere stato battezzato. Quindi per lo Stato e per la Chiesa non è “Nessuno”.

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