«Lo vuoi un po’ di pane con la marmellata?» gli domandò con un sorriso complice. Si era ricordata che, fra le preziose provviste di suor Emilia, c’era qualche vasetto di confettura di visciole, provenienti da un albero del giardino. La suora economa la distribuiva con parsimonia, ma non avrebbe avuto nulla in contrario se ne avesse preso un cucchiaino per il piccolo ospite”. Citazione tratta da “Il secondo piano”.
Una delle tante proprietà delle visciole è l’elevato potere saziante. Effetto che si intensifica, se vengono trasformate in marmellata da stendere su una fetta di pane. Il gusto di questa composta è, nel complesso, delicato ma con carattere, intenso ma acidulo: è un gusto unico che solo in parte assomiglia a quello creato coi suoi frutti fratelli– amarene e ciliegie.
Questo gusto particolare è perfetto per introdurre il libro di Ritanna Armeni “Il secondo piano”, edito da Ponte alle Grazie.
Siamo a Roma, la seconda guerra mondiale sta gettando ombre mostruose sull’umanità: la privazione della libertà, la paura e il sospetto sono all’ordine del giorno. In un convento francescano di periferia giunge un gruppo di persone in fuga dal Ghetto: chiedono ospitalità per fuggire ai rastrellamenti che stanno diventando sempre più frequenti. È un gruppo eterogeneo formato da donne – di cui una incinta -, bambini, anziani e ragazzi.
Suor Lina apre la porta ed è la prima sorella che il lettore incontra: è una novizia dolce e un po’ insicura. Poche pagine scorrono rapide e si comprende di più su Madre Ignazia che ha origini tedesche, è una donna coraggiosa, una guida, un faro; Suor Benedetta che ha insegnato nell’asilo del convento, prima che venisse smantellato; suor Maria Rita responsabile delle pulizie che tende a essere sospettosa nei confronti degli sconosciuti; Suor Elisabetta che si occupa della cucina; suor Emilia la “maestra” di Lina dal carattere severo ma sereno e, infine, suor Grazia la più anziana che in virtù di questa sua posizione privilegiata si permette di dire sempre ciò che pensa.
La personalità delle donne, che io ho sintetizzato, in realtà è ampiamente descritta e ne ho trovata traccia un po’ ovunque: ognuna, infatti, ha modo di esprimere sé stessa, di riflettere sul proprio percorso di fede, di agire secondo le regole che la sua posizione ricopre, di legarsi ancor di più al gruppo, di affrontare il proprio destino, di tenersi ancorata a un mondo – quello della preghiera – che rappresenta la protezione e l’accoglienza. La sfera emotiva – ma anche l’azione– dei personaggi viene resa ancora più incalzante quando al convento arriva un gruppo di soldati tedeschi che “chiede” di poter utilizzare uno spazio da adibire a infermeria. Da quel momento in poi, l’aria quieta che fino a quel momento ha gravitato attorno al convento diventa densa di paura: al piano terra ci sono i soldati tedeschi, al primo le sorelle, al secondo i rifugiati ebrei. La trama si arricchisce di strategia, furbizia, audacia, silenzi e preghiere che animano la lettura e la rendono ancor più coinvolgente.
Insieme allo sviluppo della personalità dei personaggi, c’è un altro elemento che colpisce: il convento. Non è solo un luogo d’ambientazione: è più simile un microcosmo dal quale le energie si irradiano. Energie positive, pacifiche. Energie che, con una sterzata alla narrazione e agli eventi, si trasformano in negative. È stato interessante leggere come l’autrice abbia esplorato il conflitto generato dal nemico dentro: il male che non è più altrove e lontano ma così vicino da poterlo sentire respirare, parlare, muoversi.
Il convento, nello specifico, è un edificio a due piani avvolto dal silenzio e protetto da un orto; c’è una grande cucina al piano terra che accoglie anime e infonde speranza, e una chiesa, accanto al giardino. Nel leggere “Il secondo piano”, ho percepito lo straordinario luogo che l’autrice ha raccontato e il potere che questo ha avuto, in quell’epoca: il convento era la salvezza, la protezione, la speranza. Un luogo nel quale la preghiera era sostegno e difesa; dove il silenzio ascoltava paure insostenibili; dove l’accoglienza era un dovere pericoloso; dove ogni anima aveva il suo spazio spirituale e dove il gruppo era coeso, indivisibile. Infine, un luogo che attraverso il lavoro incessante, intelligente e preciso, permetteva una preziosa sussistenza, tema che l’autrice ha esplorato con maestria e che ha reso la lettura ancor più profonda.
“Siamo riuscite a preparare una cena calda. Suor Elisabetta ha fatto la sua buonissima zuppa di patate e la frittata con le erbe dell’orto. Le uova se le era procurate suor Emilia.” Questa citazione è tratta da una pagina del diario di suor Lina.
Quest’ultimo elemento è un ulteriore dono, per il lettore. Infatti, la narrazione è intervallata da pagine di diario (a opera di alcune sorelle): questa variante cambia il punto di vista e rende la lettura ancor più spirituale. In aggiunta al narratore e alla voce delle sorelle, ci sono anche precise notizie storiche che rendono ancor più chiara la scena narrata.
Concludo con una nota personale: della postfazione mi sono goduta ogni parola che l’autrice ha scritto per i suoi lettori e che mi conquistata, in ogni sua parte.
Si ringrazia Matteo Columbo dell’ufficio stampa per la copia cartacea in omaggio.
Nota biografica dell’autrice:
RITANNA ARMENI è giornalista e scrittrice. Ha lavorato a Rinascita, il manifesto, l’Unità, Liberazione. Capo ufficio stampa di Fausto Bertinotti, è stata per quattro anni conduttrice di Otto e mezzo insieme a Giuliano Ferrara. Ha pubblicato Di questo amore non si deve sapere (2015), vincitore del Premio Comisso; Una donna può tutto (2018); Mara. Una donna del Novecento (2020), vincitore del Premio Minerva; Per strada è la felicità (2021), tutti usciti per Ponte alle Grazie.
Da leggere!
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Grazie, Marcella.
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