Il coraggio dovrebbe diventare una materia scolastica, già nella scuola primaria. Dovrebbe essere oggetto di discussioni e analisi, di compiti in classe e a casa. Docenti e genitori dovrebbero unire gli sforzi per insegnare ai bambini che essere coraggiosi è una risorsa fondamentale, senza la quale si è destinati a un eterno fallimento.
Camilla Lӓckberg non è certo una sconosciuta. La sua penna ha saputo conquistare palati fini, in termini giallistico-letterari. Ma, per il suo fortunato“La gabbia dorata”, ha osato, non c’è che dire. Ha spinto Faye, la sua protagonista, nell’angolo più buio del suo dolore, l’ha obbligata a macchiarsi, a finire nella disperazione più acuta. L’ha resa una nullità, l’ha spogliata di qualsiasi virtù. Le ha concesso tante pagine per sputare il veleno che aveva in corpo. Non le ha evitato illusioni né dispiaceri, ma in compenso l’ha fatta crescere, le ha permesso di risalire, di cercare (e trovare) l’intelligenza necessaria a fidarsi di se stessa e del proprio coraggio.
Il nostro viaggio culinario inizia a Stoccolma. Un gruppo di donne, le amiche ricche e sofisticate, il gruppo in cui Faye dovrebbe sentirsi a suo completo agio, ordinano un’insalata in uno dei ristoranti più noti della città. Solo metà dose, come si affretta a specificare il narratore, e per compensare la rinuncia al cibo, imposta da uno status di cui sono vittime, il gruppo di donne preferisce consolarsi con qualche bicchiere di cava.
Faye è tutt’altra pasta ma, per sopravvivere in quel mondo fatto di carte di credito e viaggi di lusso, si impone di fare sport regolarmente ed evitare le girelle alla cannella tipiche svedesi. Tutto per lui, per riconquistare il cuore del suo amato Jack, che oggi sembra essere più lontano che mai. E, per questo, una sera, in memoria del loro passato, quando il denaro era solo un sogno, si diletta nella preparazione del loro piatto preferito: spaghetti con ragù alla bolognese. Faye sceglie con cura le cipolle e s’illude che il gusto che li ha uniti allora, li unirà ancora e per sempre.
Il viaggio gastronomico continua in Spagna, quando una voce in prima persona, più graffiante rispetto a quella del narratore, ci accompagna al tavolo di un locale tipico. Ci sono delle tapas da bagnare con birra e mojito. C’è un sogno che sta per nascere, un passato da nascondere. La suspence cresce quando al tavolo arriva il main course: gamberi all’aglio accompagnati da patate, olive e polpettine. Pane, olio e Rum accendono l’aria.
E, si sa, dopo la bufera e la conta dei danni, arriva il tempo della calma e della ripartenza. La tavola, in questo, ha molto da insegnarci. I piatti freschi e semplici sono sempre l’inizio migliore. Lo sa bene Krestin, la donna che irrompe nella vita di Faye in punta di piedi e che le prepara svizzere con patate e salsa, accompagnate da marmellata di ribes e cetriolini sottoaceto.
Il viaggio è ancora molto lungo, a tratti complesso. C’è molta altra Svezia da scoprire. Ci sono molti altri sentimenti da vivere. C’è tanta commozione, davanti a due fette di knӓckebrӧd (il tipico pane croccante a base di farina di segale) bagnate di kaviar (la pasta di merluzzo). C’è un fiume di delusione e rabbia da digerire, davanti a un plateau royal a base di astice.
La firma di Camilla Lӓckberg brilla e ritma ogni pagina del romanzo. Il risultato finale è unione di stile e coraggio, emozioni e sentimenti, domande e risposte. Il tutto condito da uno sfondo gastronomico stimolante e ricco.